04/04/2017

Aborto in pillole al consultorio? E la salute delle donne?

Il Lazio di Zingaretti vorrebbe distribuire pillole abortive nei consultori: l’aborto chimico è estremamente pericoloso e la legge che prevede che venga attuato in ospedale è stata pensata nell’interesse della salute delle donne.

Ma evidentemente la mentalità abortista che governa la Regione ha come unico interesse che si uccidano più bambini possibile, anche a costo di sacrificare la salute (o la vita stessa) di qualche madre. 

Vediamo il comunicato stampa rilasciato a proposito da Olimpia Tarzia, vice presidente della Commissione Cultura e presidente del Gruppo Lista Storace in Consiglio regionale del Lazio.

«Con la determinazione 16 marzo 2017, n. G03244 della Direzione Salute e Politiche Sociali, la Regione Lazio ha istituito un tavolo tecnico per l’elaborazione di un progetto per eseguire l’aborto chimico in regime ambulatoriale presso i consultori.

Tale fase sperimentale, che dovrebbe essere attivata nel prossimo mese di maggio, è del tutto illegittima, non potendo essere praticato l’aborto chimico nei consultori, ma solamente, oltre che negli ospedali, nei poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione, come si evince chiaramente dall’articolo 8 della Legge n. 194 e i consultori, ex lege, non possono essere assolutamente considerati poliambulatori pubblici, essendo istituiti dalla peculiare legge nazionale n. 405/75 ‘Istituzione dei consultori familiari’, che ne definisce le finalità e le funzioni.

L’aborto farmacologico mediante la somministrazione della RU486 necessita di maggiore assistenza rispetto all’aborto chirurgico, non potendosi conoscere con esattezza il momento esatto dell’espulsione, motivo per cui, anche per esigenze di salute e sicurezza per la donna, le linee di indirizzo del Ministero della Salute stabiliscono che l’aborto farmacologico può essere effettuato solo in ricovero ordinario.

Ci sono state già due donne morte, in Campania e in Piemonte, a seguito di RU486, che avevano firmato le dimissioni, scegliendo di completare la procedura a casa.

Anche l’AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco  che ha autorizzato l’immissione in commercio della sostanza, evidenziandone la pericolosità, ne stabilisce ‘l’uso solo in regime di ricovero ordinario, sulle basi giuridiche enunciate nella legge n. 194/78’.

E ancora, nel primo parere del Consiglio Superiore di Sanità, del 18 marzo 2004 si afferma che ‘i rischi connessi all’interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti alla interruzione chirurgica solo se l’interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero’, e tra le motivazioni addotte si citano ‘la non prevedibilità del momento in cui avviene l’aborto’ e ‘il rispetto della legislazione vigente che prevede che l’aborto avvenga in ambito ospedaliero’.

A poca distanza dall’emanazione del bando destinato a due medici non obiettori al San Camillo, il presidente Zingaretti sfodera un altro provvedimento del tutto illegittimo e non si presenta a rispondere in Commissione Salute, nonostante gli sia stato chiesto formalmente anche dal presidente Lena. Chissà – conclude Tarzia – se deciderà di venire in Aula quando verrà calendarizzata la mia interrogazione urgente, per spiegarci almeno il motivo di questo accanimento a spianare la strada al dramma dell’aborto, invece che prevenirlo».

Redazione


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