01/02/2014

Aborto spontaneo: genitori, non siete soli

Il sogno di diventare genitori e poi un brusco risveglio davanti a una culla vuota. In Italia 1 gravidanza su 6 non va a buon fine per aborto spontaneo o indotto o per morte in utero o subito dopo la nascita. E così, mentre si attende il calore della vita, arriva il gelo della morte. Il trauma è enorme perché nessuna madre e nessun padre sono mai preparati alla perdita di un figlio prima o poco dopo la sua nascita. Chi è pronto a pensare alla propria creatura in una cella frigorifera? Chi sa come fare a “smaltirla”, come dicono in ospedale? Chi a vederla nella bara bianca? Come si sopravvive a tutto ciò? C’è chi ne esce ancora più forte e in grado di apprezzare maggiormente quello che ha e chi soccombe, chi quella resilienza, quella forza di rialzarsi, non la trova e tenta di colmare quell’abisso dell’anima ingoiando barattoli di cioccolato o chi si chiude nel silenzio.

“Che il bambino sia rimasto nell’utero poche settimane o diversi mesi, il dolore per il tragico distacco non cambia: il lutto è talmente forte che si rischia di impazzire” spiega Alessandra Kustermann, direttrice dell’Unità Operativa Complessa di Ostetricia e Ginecologia del Pronto Soccorso della Clinica Mangiagalli di Milano nella prefazione di Le Madri Interrotte (Franco Angeli editore). Il libro, scritto dalla giornalista Laura Bulleri e dalla psicoterapeuta Antonella De Marco, ha lo scopo di aiutare ad affrontare il dolore di questa perdita ed è rivolto a chi è coinvolto in prima persona, ma è un utile supporto per familiari e amici, nonché ginecologi, ostetriche e genetisti per sostenere le coppie ferite. Il volume ha inoltre il merito di dare per la prima volta voce al dolore dei “padri interrotti”, di cui non si parla mai. Il distacco della madre è palese, fisico, ma quello dei papà, pur essendo altrettanto intenso, spesso viene taciuto, ignorato non legittimato, privato di un suo spazio spazio e infine soffocato per far fronte alle varie incombenze pratiche. “Nei momenti che seguono la morte di un bambino, i padri si devono occupare degli aspetti burocratici, dei funerali, della gestione quotidiana degli altri figli. Devono anche lavorare con efficienza: il mondo non si ferma davanti a niente” sostengono le autrici “Così ripongono il dolore in in angolo, da dove forse non uscirà mai più”. Il tempo può guarire le ferite, ma non cancella i traumi, e attraverso le storie raccontate nel libro siamo andati a vedere cosa è rimasto nel cuore di questi “genitori interrotti” e qual è il “dono” che hanno ricevuto da questa perdita.

LE STORIE

Jessica, Lino e Angelica:
Jessica e Lino non vogliono che Beatrice rimanga figlia unica e mettono in cantiere un altro bebé: “Questa seconda gravidanza appare strana sin da subito” confessa Jessica “per tutti i nove mesi ho percezioni negative”. Poi nasce Angelica: “Bella come una bambola, ma le sensazioni negative rimangono. Piange poco: è molto silenziosa. Solo un giorno la sento lamentarsi. La adagio sul fasciatoio e mi accorgo che è cianotica”. “Resto lucido e le pratico un massaggio cardiaco” racconta Lino “Poi ci precipitiamo in ospedale. L’immagine di mia figlia in barella, la corsa verso la rianimazione. Assisto scioccato a tutti questo. Non è un telefilm americano”. Dopo sei giorni la piccola muore. La causa? Sids: Sudden Infant Death Syndrome, nota come “morte in culla”. “Piango come mai in vita mia, mentre la trasporto coperta da un telo bianco verso la camera mortuaria. Un’emozione debordante, un dolore tagliente. In quei momenti vorresti essere abbracciato e consolato come un bambino e invece devi fare quello forte” ricorda il padre. “Mi sentivo in colpa per non aver fatto niente di efficace” confessa la mamma “eppure i segnali li avevo avuti, ma non ho decodificato il messaggio. Mi consola essere rimasta vicino a lei fino alla fine”. La sofferenza è molto intensa: “E io reagisco mangiando, ingrasso 20 chili e vengo anche licenziata”. Mentre Lino si chiude nel dolore e non lo lascia andare per non far andare via con esso il ricordo della piccola Angelica. Poi a poco a poco la risalita e dopo due anni nasce Valentina. La vita li ha spiazzati ma loro continuano a andare avanti.
Il dono
La coppia si è dedicata all’Associazione per la Sids e alla cura delle altre due bambine.

Tania Roberto e Leon
Tania e Roberto aspettano il terzo figlio, nascerà in estate. Sono in vacanza e, qualche giorno prima del parto, il piccolo smette di muoversi. L’ecografia il giorno dopo decreta: non c’è battito. “Do alla luce il mio bambino morto con un dolorosissimo parto indotto” ricorda Tania “Ha la bocca aperta, è bello, sarebbe stato uno splendido bimbo” “Dove vanno i bambini morti?” si chiede “La loro prima culla è la cella frigo. Per una mamma sapere che il corpo del piccolo è in una cella gelida è un pensiero atroce”. “Anche il papà ha dentro di sé il figlio che nasce, cresce con lui, non materialmente, ma gli fa comunque posto nella propria vita, si prepara a accoglierlo” rivela Roberto e aggiunge “Per me e mia moglie è stata una prova di coppia, il dolore ti strattona, è facile perdersi. Abbiamo faticato a rimanere integri e riprendere la vita quotidiana”.
Il dono
Tania ha aperto un asilo nido: “Leon mi ha lasciato un progetto per il futuro”. Roberto invece ha tratto questo insegnamento: “Siamo legati a un filo sottile, si deve lasciare quando è il momento”.

Giulia Federico e Sofia

“Nessuno si aspetta che un figlio possa morire appena nato. A me è successo” racconta Federico. Sua moglie è incinta del secondo, è una bambina, ma la gravidanza è problematica e si arriva alla 28esima settimana con difficoltà. Quando iniziano le doglie Giulia subisce un cesareo d’urgenza “”Abbiamo dovuto sgravare sua moglie sennò sarebbe morta” mi dicono i medici. La bimba è piccola, ma carina” racconta il papà “E invece all’alba del giorno dopo muore. Mia moglie piange continuamente e io mi occupo delle pratiche funebri. Per me è stato un duro colpo attutito nei primi giorni dalla quantità di cose da sbrigare, mentre mia moglie è diventata sempre più triste. “Poi man mano che passano i giorni sto un po’ meglio” ricorda lei mentre continua a farsi mille domande sul perché di tutto questo dolore “Ci si fa l’abitudine, si sopravvive si torna anche a essere felici”.
Il dono
Con la morte di Sofia Giulia ha iniziato a dipingere e a scrivere poesie e a sentirsi di nuovo viva, mentre Federico continua a percepire l’assenza come una grande privazione e non un motivo di crescita. Intanto si dedica all’amore per il primo figlio e la moglie.

Ilaria Amato

Fonte: La Repubblica

 

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