07/06/2018

Al CAV della Mangiagalli: la storia di Caterina e l’aborto

Pubblichiamo uno stralcio della newsletter inviata da Paola Marozzi Bonzi, presidente del CAV della Mangiagalli a Milano, che dal 1984 ha salvato la vita a più di 20.000 bambini e alle loro madri.

Si tratta di una testimonianza che mostra come le donne siano vittime dell’aborto. Le donne non hanno bisogno che venga riconosciuto loro il “diritto” ad abortire, piuttosto hanno il diritto di portare avanti la gravidanza anche se sono in difficoltà: questa è la vera solidarietà sociale, richiesta dall’art. 2 della Costituzione.

Caterina e l’aborto

«A volte mi capita al Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli di sentirmi dire: “C’è una signora che aspetta, ma è una storia tranquilla. La vedi comunque tu?”. Dati i numerosi anni di esperienza, le situazioni che vengono descritte come intricate, sono affidate spesso a me.
Una mattina della scorsa settimana, però, non avevo cose urgenti da fare, quindi ho accettato di buon grado il colloquio, descritto come semplice, con Caterina.
La sua persona è minuscola, dignitosa e il suo comportamento fa pensare a una donna educata, che versa attualmente in grande difficoltà. I soliti riti di benvenuto:
“Si accomodi, mi chiamo Paola e questo è il Centro di Aiuto alla Vita. Il cappotto può appenderlo là. Desidera un caffè o qualcosa d’altro? Qui c’è un barattolo con le mentine della nonna, forse le tolgono un po’ di nausea”.

Ringrazia ma non vuole niente. Ha pronto in mano un fazzolettino come se sapesse già di dover piangere.
La sua è una storia semplice che, come spesso dico, non vuol dire facile.
Infatti il marito, ruolo raro di questi tempi, ha perso il lavoro di magazziniere poiché la ditta ha chiuso i battenti. La cassa-integrazione? Sì, ma chissà da quando e per quanti mesi.
Come si fa, in queste condizioni, con un bambino in arrivo?
“Mi faccia sentire i suoi pensieri, Caterina. Credo che lei sia venuta per comunicare le sue fatiche”.
“Fatiche ce ne sono tante. Lavoro come domestica, ma quando dirò della gravidanza, mi lasceranno a casa... Ho già una bambina di cinque anni che frequenta la scuola materna, ci va volentieri e mi sembra ben inserita... C’è l’affitto di casa da pagare e chissà come faremo”.
Mi viene da riflettere che non ha parlato di aborto.
“Come si è sentita quando ha saputo di essere incinta?”.
“Lo spavento è stato grande anche perché usavo la ‘spirale’ e non avevo preoccupazioni almeno in questo senso. Poi sono iniziati i primi disturbi e mi sono insospettita. Sono andata al consultorio familiare dove mi hanno sempre seguita e, senza troppo tatto, mi hanno detto: Ah! Ecco, si è spostata. Se, però, le condizioni economiche sono così difficili, può sempre abortire.
Non mi hanno parlato di nessun sostegno possibile, senza indicarmi la possibilità di ricevere aiuti”.
Continuo a meravigliarmi. Non accenna all’aborto.
“I fondi stanziati dalla Regione, stanno finendo e anche noi stiamo facendo una grande fatica.
Suo marito cosa dice e che cosa pensa di fare?”
Ecco le lacrime per cui aveva preparato il fazzolettino. Sono copiose e le inondano il viso.
“Non le ho raccontato tutta la mia storia. Quasi subito dopo la nascita della mia bambina, sono rimasta gravida e ho abortito. Non vorrò mai più rifare quell’esperienza!”.
Ora inizio a capire. Nonostante tutto ciò che di banalizzante si dice in giro, l’aborto procurato è un’esperienza devastante. Mi torna il ricordo tragico di una lettera di una donna che scrive al suo bambino abortito. Ne riporto di seguito qualche stralcio:
angeli_aborto_tardivo_sopravvissuti_figli_bambiniCaro Angelo, caro bambino, caro infinito amore, il mio bambino, come ti ho sempre chiamato.
Per quanto tempo ti ho parlato, pensato, sentito? Dal primo giorno, momento, istante in cui ho capito che esistevi dentro di me, non ho mai smesso di pensarti. Non smetterò mai. Nella mia intimità ero spaventata ma in fondo visceralmente felice, ero quasi arrivata ad aver paura della mia felicità.
Per me eri davvero una nuova vita, così confusa e distratta dalla realtà che mi ero creata intorno da non permettermi di capire. Infatti non ho capito. Non dimenticherò mai i momenti in cui ho pensato che ce l’avrei fatta ad andare avanti, che sarebbe andato tutto bene.
Poi l’Abisso, l’esplosione di tutta la fragilità nel momento in cui cercavo conforto e forza nella persona sbagliata: tuo padre.
Ti chiedo perdono, infinitamente perdono.
Quante volte ti ho chiesto perdono? Ogni volta in cui ti ho pensato e non mi basterà una vita per ripeterlo. Ti chiedo scusa per non aver trovato la forza che ho sempre pensato di avere per portare avanti i miei desideri, per imporre i miei princìpi, per pensare e riconoscere che la vita è più bella di qualsiasi altra cosa al mondo, e viene prima di tutto.
Ti chiedo scusa per la mia fragilità, la mia meschinità, ma soprattutto per la mancanza di rispetto nei confronti delle nostre vite; perché sapevo che una mamma può davvero pentirsi di un bambino non nato, ma mai di un bambino che nasce.
Ti chiedo perdono per non averti amato abbastanza, ti chiedo perdono per non aver chiesto aiuto alle persone che me lo avrebbero dato, ti chiedo scusa per essermi fatta sovrastare da una forza negativa che, con il suo rifiuto totale e senza alcun cedimento, ha perseguito il suo obiettivo: liberarsi del problema.
Non dimenticherò mai la sequenza terribile dei momenti, le visite, i colloqui, i pensieri, i sentimenti, gli stati emotivi, dal momento in cui ho deciso di gettare la spugna. Si perché alla fine ho deciso io: ho imposto a me stessa un sacrificio immenso.
Ero spaventata per quello che sapevo mi sarebbe arrivato: il pentimento, il rimorso per un atto così contro natura.
Ero proprio io che con forza dicevo no alla tua vita? Non scorderò mai la tristezza con cui rispondevo di voler interrompere la gravidanza, l’imposizione di non guardarti sul monitor dell’ecografia sapendo che eri lì e il cuore ti batteva nel ventre della tua mamma che avrebbe dovuto essere per te un luogo sicuro, e non lo è stato”.

L’aborto, come tutti indistintamente affermano, è davvero una grande tragedia e anche Caterina evidentemente ne prova ancora dolore.
“Caterina, il nostro Centro è sorto proprio per dare aiuto alle donne che da sole non ce la farebbero a portare avanti la gravidanza. Farò per lei un progetto dove elencherò le risposte alle sue necessità, quelle che le verranno elargite nel corso dei 18 mesi in cui ci prenderemo cura di lei”.
“Davvero? Se sarà così potrò affrontare più serenamente i prossimi mesi e vivere con gioia la nascita del mio bambino”.
Questa la grandezza del CAV che, come dico spesso, “se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, ma, per fortuna, esiste già”.

Paola Marozzi Bonzi

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