30/03/2014

Assemblea d’Istituto: a Milano si parla di aborto ed aiuto alla Vita

Riportiamo con piacere una lettera di una studentessa che racconta come, da un incontro organizzato nell’ambito di una co-gestione a scuola, possa nascere la voglia di rimettersi in gioco.

Ai ragazzi del Liceo Carducci di Milano è stata data la possibilità di incontrare una volontaria del Centro Aiuto alla Vita Mangiagalli che ha messo da parte tutti i pregiudizi che ammantano i CAV e parlato con parole semplici, quasi popolari, per spiegare l’impegno di combattere non solo per i bambini ma anche ed in primo luogo per le loro mamme. “Prima dei abbracciare la madre”, del resto.

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Tre giorni in cui vivere la scuola in modo diverso. Le aule del liceo Carducci, dal 6 all’8 marzo, diventano sede di incontri su temi di attualità, ma anche di argomenti d’interesse degli studenti che decidono di aderirvi.
Ogni anno, assistere ad iniziative, esposizioni, qualche volta vere performance, che partono dalle proposte dei propri compagni di scuola è qualcosa di straordinario. A partire da un ragazzo di quinta che parla dei Coldplay facendoti apprezzare il significato profondo dei testi delle loro canzoni, agli amici che decidono di condividere col resto della scuola la loro passione per Johnny Cash, all’incontro con Paola Marozzi Bonzi, fondatrice del Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli (Cav). 
L’opportunità di mettersi in gioco e partecipare attivamente è aperta a tutti e c’è la possibilità di invitare degli esperti esterni.

Venerdì ho scelto di andare a sentire un incontro proposto da un mio amico sul problema dell’aborto. Entro in un’aula affollata del terzo piano e ci accoglie una signora piuttosto anziana, non vedente, che, con un largo sorriso, ci racconta la sua esperienza trentennale da volontaria alla Mangiagalli. Tutto inizia negli anni Ottanta, in una Polonia ancora comunista. Paola è colpita dal lavoro di alcune volontarie che, negli ospedali, offrivano il loro aiuto alle donne che volevano abortire. Un semplice gesto di solidarietà. Eppure, da qui nasce l’idea di fondare un centro di ascolto per donne in maternità in Italia. 

Così, nel 1984 parte quest’avventura, insieme all’obiettore di coscienza Matteo Castelli, proprio nella clinica dove era stato aperto il primo ambulatorio per l’interruzione volontaria della gravidanza. Arrivano le prime telefonate. L’incontro con ognuna di queste donne è sempre un salto nel buio. C’è chi ha difficoltà economiche e chi è stata abbandonata dal compagno. C’è persino chi capita lì per sbaglio. Le parole di Paola superano subito ogni pregiudizio sul Centro di Aiuto alla Vita che non è, come racconta una ragazzina, un luogo dove si persuadono le donne a non abortire, ma un ambiente in cui vengono accolte con semplicità, perché, come dice Paola: «Se voglio arrivare al bambino devo abbracciare la sua mamma». 

Donne in difficoltà trovano qualcuno disposto ad ascoltarle, a condividere il loro dramma, la loro incertezza e fragilità. Imparano a conoscere di più se stesse, a far emergere un desiderio di maternità, magari nascosto, e a prendere conoscenza di potenzialità che prima non immaginavano. È questo quello che conta: che la donna possa scegliere la vita di suo figlio non perché viene convinta, perché deve, ma perché si scopre madre. È il colloquio il punto focale dell’operato del Cav, perché spiega Paola: «La donna che si sente accolta sia in grado di accogliere suo figlio». I colloqui sono solo l’inizio di un rapporto, spesso l’aiuto va oltre. Si trovano alloggi e si sostengono le future mamme anche attraverso contributi economici. Piccole somme, ma segno di un reale sostegno. Ultimamente, però, i fondi per il Centro di Aiuto alla Vita sono pochi. Da qui, l’anno scorso è stata organizzata una cena di beneficenza con 880 persone. Sono, infatti, gli amici, chi ha cuore l’operato del Cav, i principali contribuenti che coprono il silenzio di istituzioni sempre più assenti e insensibili ad un grande problema come l’aborto. «Insomma, in questi anni, sono nati quasi 17mila bambini». Tutti bimbi che Paola sente un po’ come suoi nipotini, sentendosi madre delle loro mamme, e per i quali gli aiuti non terminano con la nascita, ma proseguono fino al primo compleanno.

All’obiezione di una ragazza, che pensa che l’embrione non sia ancora un bambino, Paola risponde con una serie di esempi. Dall’ecografia che rivela prestissimo la natura umana dell’embrione in maniera inequivocabile, alla saggezza popolare di una donna che in milanese le dice: «Io non so cosa sia, ma so che se lo lascio stare dopo nove mesi nasce un bambino!». Forse è proprio questo il cuore della questione: la vita supera chi la porta in grembo. Se questo è vero, non possiamo disporne. Al termine dell’incontro siamo tutti senza parole. Grati di aver conosciuto questa persona e l’esistenza di questo Centro, che vive grazie al lavoro dei volontari.

Marta, Milano

Fonte: Tracce

 

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