30/05/2019

Associazione Luca Coscioni chiede applicazione della 194. La replica di Boscia (AMCI): «Allora rispettino anche l’articolo 1»

In 41 anni, in Italia, grazie alla Legge 194, sono stati praticati oltre sette milioni di aborti, contribuendo al grave squilibrio demografico del nostro Paese. Per l’Associazione Luca Coscioni, evidentemente, questo non basta: bisogna applicare la legge fino in fondo, perché, a loro avviso, in numerose regioni italiane, a molte donne non è consentito di abortire.

È nata così la campagna Aborto al sicuro, in cui, in un video di un paio di minuti, varie persone, tra cui l’esponente radicale Marco Cappato, espongono il loro cahier de doléance: «In Italia è legale dal 1978, eppure, troppo spesso, è un diritto ignorato, negato, violato». «In Lombardia, le donne possono accedere all’aborto farmacologico solo in un ospedale su dieci». «A volte l’obiezione di coscienza, viene sollevata anche fuori dei casi previsti dalla legge, come quando la salute della donna è in pericolo». Questi ultimi sono solo alcuni dei rilievi messi in atto nello spot, accompagnato da un appello ai presidenti di regione, affinché garantiscano ovunque «l’aborto al sicuro», come un «diritto» per tutte le donne che lo richiedano.

Questa campagna dal taglio così oltranzista, tuttavia, potrebbe avere l’effetto boomerang di portare acqua al mulino dei pro life. Ne è convinto il professor Filippo Maria Boscia, presidente dell’Associazione Medici Cattolici Italiani (Amci), che, interpellato da Pro Vita & Famiglia sulla questione, ha evidenziato subito l’elemento critico: se si pretende di applicare fino in fondo la legge 194, non può essere trascurato l’articolo 1: «Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite».

Professor Boscia, in che direzione sta andando l’applicazione della Legge 194?

«È la stessa 194 a stabilire che l’aborto non debba mai essere considerato come un mezzo di pianificazione delle nascite, tuttavia, nella mia lunga esperienza di ginecologo, posso dire che, nel 60-70% dei casi, l’aborto viene programmato come fosse un contraccettivo. Invece, è assolutamente prioritario che le strutture sanitarie si organizzino per tutelare la vita umana dal suo inizio, come prescrive l’articolo 1 della legge».

Un aspetto positivo è nel fatto che l’obiezione di coscienza da parte dei medici sia in aumento: a cosa è dovuto questo?

«È in aumento, perché i medici – in particolare i ginecologi – in quanto tali, conoscono tutti i passaggi dello sviluppo della vita umana nel grembo materno e possono testimoniare che il concepito è un essere umano. L’obiezione di coscienza, quindi, testimonia quello che i medici vedono con i loro stessi occhi e che non possono negare. Molto spesso mi è capitato di confrontarmi con gestanti che vivono un momento di crisi economica o psicologica e che, per questo, richiedono l’aborto. Si tratta, però, in realtà, di una richiesta d’aiuto e quell’aiuto può arrivare proprio da quei medici obiettori in grado di testimoniare in modo positivo, mettendosi a disposizione per sostenere queste fragilità, per accompagnare queste donne e rompere la loro solitudine, infondendo loro il coraggio per salvare la vita del proprio figlio. Anche se non si volesse abolire o cambiare la Legge 194, non si può nascondere che il concepito è un essere umano a pieno titolo. Dire il contrario, sarebbe una grandissima bugia scientifica».

Questa verità scientifica è comprensibile anche alle donne che aspettano un bambino?

«Certamente. Quando una donna si accorge del suo stato di gravidanza, dice: “Aspetto un figlio”. Comprende subito che quel feto è vita e non un “grumo di cellule”. Per questo non è possibile affermare che l’aborto sia un diritto. Credo che, in questa fase storica, occorra risvegliare le coscienze di chiunque, perché non si tratta di una problematica “religiosa” o “dei cattolici” ma di una problematica sociale, che va affrontata anche dando formazione a una sessualità che non sia un gioco ma un’assunzione di responsabilità».

Secondo i radicali, tuttavia, il problema starebbe nel fatto che molte donne non possono abortire…

«Piuttosto che battersi perché si pratichino più aborti, dovrebbero riconoscere che l’aborto è un danno per la donna. La società civile ancora non riesce a comprendere quali sostegni debba dare alla maternità: la questione non si risolve semplicemente dando pannolini gratis o 50 euro mensili per comprare il latte; è essenziale osservare in modo logico quello che la Legge 194 prescrive, riconoscendo il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana dal concepimento. Credo che questo debba essere l’obiettivo comune di ogni parte sociale o politica. Quando si parla di difesa della vita, non c’è ideologia che tenga. Non c’è nessuna ideologia che possa bloccare il prezioso dono della vita nelle situazioni di fragilità. Se avesse la possibilità di parlare, il concepito minacciato d’aborto probabilmente direbbe: “rispettami, difendimi, amami e servi ogni vita umana”».

Come difendere, dunque, l’obiezione di coscienza?

«L’obiezione di coscienza è un diritto costituzionale. Quando c’è un conflitto tra la legge e la coscienza, in tante persone cresce la convinzione che l’aborto sia un atto inaccettabile. In un certo senso, l’Associazione Luca Coscioni fa bene a sollecitare le istituzioni a tenere conto della Legge 194, tuttavia, per quale motivo non bisognerebbe rispettare l’articolo 1? L’operatore sanitario che si trova nella circostanza di dover prendere parte a queste procedure, ha il diritto di sollevare l’obiezione di coscienza, garantitogli dalla Costituzione e dall’articolo 10 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. A rigor di logica, se si mettesse in discussione l’obiezione di coscienza sull’aborto, bisognerebbe farlo anche per l’uso delle armi o per la sperimentazione sugli animali. E noi umani, rispetto agli animali, non siamo certo da meno…».

Luca Marcolivio

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