24/10/2013

Bari, la battaglia di Angela: “voglio operarmi senza abortire, ma la burocrazia me lo impedisce”

«Non ho niente da dire... In questo momento non ho voglia di parlare con nessuno». Per sei giorni che già sembravano interminabili, aveva fatto gli scongiuri perché qui a Bari riuscissero a farla sbucare da un tunnel apparentemente senza uscita. Ma la burocrazia uccide la speranza di Angela, una ragazza salernitana di 26 anni, incinta da cinque mesi e con un tumore destinato a devastarle il cervello perché le cellule maligne crescono impietose alla velocità della luce.

Le avevano spiegato che avrebbe potuto bruciarle con un robot chiamato Cyberknife, impiegato per eseguire interventi di radiochirurgia. Ma che da queste parti ha addosso ancora il timbro della clandestinità perché dal 2011 l’amministrazione regionale non riesce ad “autorizzarlo”.

C’era la possibilità che il gruppo Bari Hospital, proprietario dell’avveniristico macchinario, potesse ottenere il via libera all’operazione «in via eccezionale». Come aveva domandato alla giunta Vendola l’ad della società per azioni Max Paganini. L’assessore alla Sanità Elena Gentile pretendeva una «relazione tecnica che definisce le procedure mediche da adottare e il relativo percorso assistenziale» nonché il «consenso informato da parte della donna». Una commissione di esperti, domani, avrebbe fatto sapere se alla clinica Mater Dei, Angela avrebbe potuto continuare a sorridere. Ma ieri i dirigenti della Gentile avevano trasmesso un’altra «istanza» alla Cbh: doveva esserci la «sottoscrizione autenticata» del consenso informato che Angela aveva firmato perché potesse finire sotto i ferri e una «relazione tecnica», un’altra, per dimostrare che il Cyberknife sia «in possesso dei requisiti strutturali e tecnologici generali» come la protezione antincendio o antisismica, insieme con «la documentazione relativa all’avvenuto collaudo dell’apparecchiatura».

È la goccia che fa traboccare il vaso. Più stupefatta che arrabbiata Angela decide di fare le valigie per tornare a casa, in quel di Casal Velino, nel Cilento. Ricomincerà a cercare un posto in Italia o nel resto del mondo dove al di là delle carte bollate siano in grado di restituirle gioia e tranquillità, ma soprattutto di tenere in vita la bimba che porta nel grembo. Quando ad agosto, tre mesi dopo essersi sposata, aveva avuto una emorragia cerebrale e le avevano diagnosticato il male incurabile, le avevano raccontato che per essere operata avrebbe dovuto abortire. Non aveva battuto ciglio: «Preferisco morire, ma Francesca Pia deve nascere».

Aveva pure scritto una email al Papa: «Non si può chiedere a una madre di salvarsi ammazzando sua figlia». Poi scopre il Cyberknife, che però «non è stato né collaudato né autorizzato» precisano alla Regione, mentre il presidente Vendola informa «tempestivamente» il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin. E all’assessorato valutano di denunciare il caso alla magistratura: può una clinica privata accettare una paziente se sa già di non essere nelle condizioni di offrirle il servizio sanitario richiesto?

di Lello Parise

Festini

 

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