12/05/2018

Biotestamento, padre decide per la figlia: autodeterminazione?

Eccoci a commentare gli effetti della legge sul biotestamento, o DAT, Dichiarazioni anticipate di trattamento. Questa volta il caso interessa una donna di quarant’anni di Modena in coma da mesi (alimentata artificialmente e incapace di comunicare) e il suo papà ultra ottantenne che ne è stato nominato rappresentante e che potrà quindi esprimere una sentenza di vita o di morte sulla figlia.

Proviamo a comprendere meglio come si articola la questione, secondo la legge sul biotestamento. Il provvedimento, entrato in vigore il 31 gennaio di quest’anno, all’articolo 1 comma 1 afferma che il suo fine è quello di tutelare «il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge».

E quali sono questi casi previsti dalla legge? Nei casi di persone minori o incapaci, all’art. 3 si afferma che devono essere comunque informate, secondo la loro capacità, e i genitori o il tutore devono tenere conto delle loro volontà; nel caso di una persona interdetta, a decidere è il tutore (se possibile, dopo aver sentito l’interessato); nel caso di una persona inabilitata, a esprimere il consenso è la stessa oppure, se c’è, l’amministratore di sostegno. Infine, se non vi sono DAT e non vi è accordo tra medici, persona interdetta o inabilitata e/o amministratore di sostegno o tutore legale, si ricorre al giudice tutelare.

In sintesi, si capisce bene la contraddizione: da un lato, infatti, si afferma l’autodeterminazione dell’individuo, dall’altra si legittima una persona a decidere sulla vita altrui.

Tornando alla notizia di cronaca da cui si è partiti, come riporta Il Giornale, «da oggi in poi sarà il genitore a decidere quali cure, quali terapie accettare o rifiutare per la donna. Lo ha stabilito il magistrato nominandolo amministratore di sostegno, tutore legale in pieno accordo con gli altri familiari. Potrà ritirare la pensione, assolvere alle pratiche burocratiche ma anche, ed è qui la novità rispetto al passato, decidere in materia sanitaria. Sempre che, ha sottolineato il giudice, si impegni a fare l’interesse della figlia e si impegni a ricostruire volontà e desideri in materia patrimoniale e soprattutto sanitaria». Quindi «dovrà prestare il consenso informato – o in alternativa il rifiuto – per le cure e i trattamenti necessari per la salute della figlia. Ogni anno dovrà presentare un resoconto scritto sull’attività svolta per il beneficiario e sulle sue condizioni di vita».

Se anche la donna avesse anni fa redatto le DAT, chi ci garantisce che oggi la sua volontà è sempre la stessa? E poi, chi può essere sicuro che la poverina non sia cosciente di ciò che le accade intorno? Quante testimonianze abbiamo avuto di persone date per spacciate, inerti, vegetali, che poi si sono risvegliate e hanno detto che “sentivano tutto” e volevano fortemente vivere? Guardate per esempio qui.

Ancora, il mito dell’autodeterminazione, così sbandierato nei dibattiti sulle cosiddette “conquiste civili” (dall’aborto, all’eutanasia il concetto è lo stesso), dove finisce in questo caso?

Inoltre: i radicali ripetono all’infinito che “chi vuol fare le dat le fa chi non vuol farle non le fa”: questo episodio mostra il contrario: se uno non fa il biotestamento e poi gli accade qualcosa, nominano un rappresentante che poi deciderà al posto suo!

Le domande aperte sono veramente tante. Un dato di fatto però rimane, ossia la situazione di confusione e di presunta onnipotenza in cui la legge sulle DAT ha gettato la società italiana... in nome del progresso, ovviamente.

Teresa Moro

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