17/04/2013

Catania, partorisce in coma e poi si risveglia: “Un miracolo di Wojtyla”

Si fa strada in punta di piedi, la notizia. Appena un’Ansa, il 13 aprile, a raccontare in poche righe cos’è accaduto a Catania. Il miracolo di una bimba, nata dalla sua mamma in coma. No, il miracolo non è questo. Non solo questo, almeno.
Altre volte i medici han praticato il cesareo a mamme che hanno subito un incidente, o erano tra la vita e la morte. Il miracolo è Ivana Grasso, entrata in coma profondo per un aneurisma, al settimo mese di gravidanza. La davano per spacciata. Dopo un paio di settimane dal parto si è svegliata, ed ha potuto abbracciare sua figlia: Rebecca Maria.
Oggi la notizia ha i contorni più chiari. A darla, tra gli altri, Repubblica, che, raccontati i fatti, riporta le parole di Ivana. «Abbiamo pregato per ore e ore, giorni e giorni, tutti i giorni… pregavamo insieme. Lui sedeva accanto a me, sul letto, io sentivo la sua mano sulla mia fronte… E’ stato lui, Papa Wojtyla a salvarmi; lui ha salvato prima la mia bambina poi me».
Perché non devo, non dobbiamo credere a questa mamma, al suo racconto? Io ci credo. Non vedo che motivi avrebbe, questa giovane donna che è tornata alla vita, per inventare ciò che non è.
Si dirà che il miracolo c’è per quelli – ingenui! – che lo voglion vedere. Sarà un caso, sentenzierà lo scettico di turno. Bravi i medici, suggeriranno. Vero! Bravi i medici, che dietro il sonno profondo del coma profondo hanno visto la vita, e non hanno mollato.
Ciascuno, di fronte ad Ivana e a Rebecca Maria, (potrebbero non essere e invece sono), la pensi come crede. Ma se la vogliamo ascoltare ci parla, questa storia accaduta a Catania. Perché spalanca al Mistero.
In un’epoca in cui la parola d’ordine è “autodeterminazione”, queste due vite che sono state appese a un filo, comunque la si pensi ci riportano alla realtà. La vita non la governiamo affatto. Né la nostra, né quella dei figli che portiamo in grembo. Non basta «volerla» perché ci sia, o perché duri quanto lo desideriamo.
Questa storia è un pizzicotto che ci sveglia dal torpore. Ci insegna lo stupore, ci educa all’umiltà, ci rammenta che la vita è un «miracolo» sempre. Ma c’è dell’altro.
«Ho parlato incessantemente con papa Giovanni Paolo II – racconta Ivana – Appena mi sono addormentata, lui si è seduto accanto a me e mi ha chiesto di pregare la Madonna. Ogni giorno mi abbracciava… Poi mi ha detto ora devo andare, non smettere mai di pregare».
Gli altri facciano quel che vogliono. Io ascolto commossa le parole di questa mamma, il racconto dei giorni lunghi del suo “sonno”, e mi intenerisce pensare che non fosse sola. A Rachele Maria han dato il nome della Madonna. E’ a Lei, mendicanti, che dobbiamo guardare.

di Luisella Saro

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