18/01/2014

Chiara Corbella: dal suo sacrificio, le strade maestre dell’evangelizzazione

Il 9 gennaio sarebbe stato il trentesimo compleanno di Chiara Corbella Petrillo (1984-2012), morta a soli 28 anni “in odore di santità” per aver rimandato le cure del tumore che aveva scoperto durante la gravidanza e non dovere, così, abortire il suo piccolo Francesco. La vicenda umana e cristiana di questa giovane mamma romana, come quella di suo marito Enrico Petrillo, è raccontata nel libro di Simone Troisi e Cristiana Paccini, due loro coetanei ed amici di famiglia, Siamo nati e non moriremo mai più (Edizioni Porziuncola, Assisi 2013, pp. 160, € 12). Il titolo di questa prima e unica biografia finora uscita, riprende una frase inscindibilmente legata alla vita di Chiara che, però, lei non ha pronunciato mai. Scrivono gli Autori: «L’ha fatto Enrico…L’ha ripetuta più volte… perché la sentiva come una buona notizia da dare a tutti» (p. 20). Non a caso con la stessa frase si conclude il racconto che i due amici scrivono su espressa richiesta di Chiara al piccolo Francesco, per cercare di spiegargli la storia della madre e dei due fratelli che, prima di lui, sono nati e, subito dopo il parto, morti per malattie molto gravi. 

Tre volte “mamma per la vita”

Chiara Corbella aveva conosciuto Enrico a Medjugorie nell’estate del 2002. Lui è in pellegrinaggio con la Comunità del Rinnovamento carismatico, lei è in vacanza in Croazia con la sorella maggiore Elisa. Tornati a Roma, i due si frequentano, si fidanzano, intraprendono un cammino di fede insieme. Si sposano giovanissimi il 21 settembre 2008, lei 23, lui 28 anni.

Durante la prima gravidanza, che arriva subito, a Chiara viene diagnosticata un’anencefalia alla figlia Maria. I due sposi decidono di dare alla luce lo stesso la figlia, che nasce, viene battezzata e muore tra le braccia dei genitori: «la piccola è senza scatola cranica – commentano Cristiana e Simone Troisi –. Il medico di turno dice a Chiara che se avesse fatto prima un’ecografia avrebbero potuto fare ancora qualcosa, “per prevenire la malattia?”, “No, per abortire”. Per lei, che aveva appena visto sua figlia muoversi, è un colpo basso» (p. 36). «Ho imparato da mia figlia – commenta Enrico – che non conta la durata della vita, ma come la viviamo. Ho imparato da lei in un anno più di quanto non avevo capito in tutta la mia esistenza e non posso sprecare questo insegnamento».

Anche durante la seconda gravidanza, al bimbo che Chiara porta nel grembo sono diagnosticate gravi malformazioni e non rimangono speranze di sopravvivenza. Ancora una volta, Chiara e Enrico hanno voluto dare alla luce il figlio Davide, farlo battezzare e abbracciare mentre andava in Cielo.

Alla terza gravidanza, tutto procede bene per il figlio Francesco, ma la diagnosi infausta questa volta riguarda lei, la madre. Dopo un primo intervento chirurgico, per non danneggiare il figlio, rimanda chemio e radioterapia  a solo dopo la nascita del figlio. Ma è ormai troppo tardi. Chiara ha ormai metastasi ovunque, è malata terminale, ma ha un viso bello e folgorante perché, come testimonia il marito, «una persona muore come ha vissuto. Chiara è morta in maniera incredibile, sorridendo in faccia alla morte. Molto più che serena: felice» (p. 15). 

Una “seconda Gianna Beretta Molla”

E’ il 4 aprile 2012 quando Chiara ed Enrico conoscono l’esito della biopsia al fegato, e Chiara confessa all’amica Cristiana Paccini: «Sai, Cri, ho smesso di voler capire, altrimenti si impazzisce. E sto meglio. Ora sto in pace, ora prendo quello che viene […] per ogni giorno c’è la grazia. Giorno per giorno. Devo solo fare spazio».

Chiara muore il 13 giugno 2012, vestita da sposa, con in mano il rosario e un piccolo mazzo di lavanda. Al funerale, celebrato il 16 giugno nella parrocchia di Santa Francesca Romana all’Ardeatino (Roma), partecipa anche il cardinale Agostino Vallini, vicario del Papa per la diocesi di Roma, impressionato per la vicenda della giovane. Anche lui ha voluto dare il suo personale saluto a colei che ha definito «una seconda Gianna Beretta Molla», già venerata come santa dalla Chiesa cattolica (canonizzata nel 2004 da papa Giovanni Paolo II) perché, incinta, con un tumore all’utero, anche lei preferì morire anziché accettare cure che arrecassero danno al figlio. 

L’incontro con Benedetto XVI

Chiara ed Enrico incontrano Benedetto XVI in occasione dell’Udienza generale tenuta dal Papa in piazza San Pietro il 2 maggio 2012. In quell’occasione il Pontefice pronunciò una splendida catechesi sulla “preghiera del primo martire cristiano”, Santo Stefano. A qualcuno non sempre un “caso” perché, in un tempo come il nostro dominato dalla “cultura della morte”, anche la vicenda di Chiara assume in qualche modo il significato di una testimonianza-martirio per la difesa della vita umana innocente. Papa Ratzinger, nella sua “catechesi del mercoledì”, disse infatti: «Oggi vorrei parlare della testimonianza e della preghiera del primo martire della Chiesa, santo Stefano…Nel momento del suo martirio… egli è guidato dalla luce dello Spirito Santo, dal suo rapporto intimo con il Signore, tanto che i membri del Sinedrio videro il suo volto “come quello di un angelo” (At 6,15)». Chi guarda il volto della Corbella, nelle foto scattate prima e durante la sua malattia, oppure all’indomani della morte delle due creature che, dopo nemmeno mezz’ora di vita su questa terra, sono salite in Cielo, può tranquillamente fare un paragone…

In quel 2 maggio 2012, quando arriva il loro momento, Enrico e Chiara, lei che tiene in braccio Francesco, si avvicinano al Successore di Pietro e, non appena il Papa accenna a impartire la benedizione sulla madre ed il piccolo, Enrico a bruciapelo gli dice: «Santo Padre, abbiamo già due bimbi in cielo». A quel punto Benedetto XVI «si ferma, lo guarda. Ripete: “Già due bimbi in cielo?”. Ma è un attimo, il protocollo vieta di trattenersi per più di una trentina di secondi di fronte al pontefice» (p. 133). Mentre quindi il Pontefice si avvicina a Chiara per salutarli, Enrico insiste «Santo Padre, poi le dobbiamo dire che Francesco è nato perché Chiara ha rimandato le cure... ora è una malata terminale». E’ allora che il Papa «si illumina. Si commuove. E la abbraccia» (p. 133), Enrico gli consegna una busta che contiene la sua storia con Chiara... Il giovane l’ha riassunta il giorno prima in poche righe, «perché il Papa possa leggerla malgrado gli infiniti impegni. L’ha scritta mentre Chiara stava male, per effetto della morfina che ha appena cominciato a prendere».

Molto più, quindi, di una “madre-coraggio”

Con le parole della Corbella ed i ricordi di chi l’ha conosciuta e ne ha condiviso la profonda esperienza umana e cristiana, Siamo nati e non moriremo mai più descrive una vicenda che, scrive nella Presentazione padre Vito d’Amato, il francescano che è stato per molti anni direttore spirituale di Chiara, «stupisce e, allo stesso tempo, terrorizza, affascina».

«A prima vista – concludono il libro Simone e Cristiana Troisi – la storia di Chiara è la storia drammatica di una mamma che muore di tumore lasciando soli suo marito e suo figlio. Forse una storia simile a tante. Ma in queste c’è qualcosa che non torna. Tutto è stato vissuto nella gioia, ed è diventato vita per gli altri».

Molto più, quindi, di una “madre-coraggio”, Chiara Corbella ha donato la sua vita per amore ed, ancora oggi, continua ad impressionare e sorprendere migliaia di persone in tutta Italia ed all’estero, dove la sua storia si sta diffondendo rapidamente grazie a incontri, conferenze, volantini e messaggi con i mezzi di comunicazione più vari.

Giuseppe Brienza

Scarica la pagina in formato pdf dell’articolo della recensione ‘Siamo nati e non moriremo mai più’ e La Quercia Millenaria

Fonte: Vita Nuova

 

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