09/02/2019

Cosa rappresenta per noi tutti la vicenda di Eluana Englaro (parte II)

... Eluana, in realtà, nonostante fosse in stato “vegetativo” o più precisamente di “minima coscienza”, era pienamente “vitale”, nel senso che i suoi processi biologici funzionavano alla perfezione e le era persino tornato un regolare ciclo mestruale. Tale è stato l’accanimento del padre nel porre termine all’esistenza della figlia, che ha sempre impedito che venissero mostrate foto non solo di Eluana, ma neppure della stanza dov’era ricoverata, della documentazione, che avrebbe confutato inequivocabilmente le menzogne che circolavano su certa stampa progressista e che verranno smentite solo dopo la relazione dell’autopsia sul corpo della giovane. Allo stesso modo si è rifiutato categoricamente di sottoporre la figlia alle terapie più all’avanguardia nel trattamento dei pazienti in stato vegetativo, nonostante gli venissero raccomandate dai medici.

Il senatore Gaetano Quagliarello, il 3 marzo 2017 così commentava sull’Occidentale: «Eluana non è morta, Eluana è stata ammazzata. Perché da ex radicale, dato biografico che certamente non rinnego, credo profondamente nella libertà della persona e chiamo le cose con il loro nome. E, se si mette da parte l’ipocrisia, la storia della morte di Eluana Englaro non è certamente una storia di libertà».

L’ostinazione con cui è stata condotta questa vicenda, l’insistenza con cui si è cercato di far morire Eluana in una struttura pubblica va ben oltre la battaglia personale di suo padre (che poteva benissimo portare la figlia a casa per attuare il suo piano). Questa estenuante campagna mediatica e giudiziaria è stata un’azione ideologica volta a sdoganare nel nostro Paese una mentalità e soprattutto una legislazione eutanasica, aggirando il consenso popolare e con la complicità di giudici, che non dovrebbero legiferare, ma limitarsi a garantire il rispetto delle leggi.

Si è arrivati in questo modo al dicembre del 2017, anno in cui è stata varata la legge sul fine -vita: n. 219 sulle Disposizioni Anticipate di trattamento (Dat), che ha un contenuto sostanzialmente eutanasico, stravolge, modifica, minaccia la professione medica e lede alla base il rapporto di fiducia tra medico e paziente. Crea inoltre le premesse per l’introduzione di un’eutanasia non consensuale, dove gli handicappati, gli anziani ammalati, le persone in stato di incoscienza, i neonati prematuri a rischio di disabilità sono considerati un peso per la famiglia e la società e sono quindi meritevoli di soppressione. Nel best interest di tutti. Le storie di Charlie Gard, Isaiah Haastrup, Alfie Evans sono solo alcuni tragici esempi di questa deriva ideologica.

Eluana Englaro è stata dunque condannata a morte legalmente con l’autorizzazione dei giudici, in quanto, secondo i sostenitori dell’eutanasia, in seguito agli irreversibili danni fisici subiti nell’incidente stradale, rispecchiava appieno la condizione di vita “indegna di essere vissuta“; si è voluto affermare un principio contrario alla nostra civiltà e al bene comune: l’esistenza di vite non meritevoli di essere vissute. Una prospettiva, questa, evidentemente ideologica e pericolosa se pensiamo che in passato era legale la schiavitù o la deportazione degli ebrei, rendendo evidente che non sempre legalità è sinonimo di giustizia, come ciò che è legale non sempre è anche moralmente etico. Il grande bioeticista Mario Palmaro ci metteva in guardia sottolineando l’ambiguità e la falsità di una concezione basata sulla qualità della vita, che avrebbe potuto in futuro ridurre, se non addirittura eliminare, il dovere di curare un malato incosciente, «per cui non solo le persone in stato vegetativo, ma anche pazienti in coma, con danni cerebrali gravi, malati di mente, neonati, potranno essere assimilati al caso di Eluana, e “lasciati morire”».

Eluana Englaro in Italia, così come, in precedenza, Terri Schiavo negli Stati Uniti e oggi Vincent Lambert in Francia vengono utilizzati, loro malgrado, come simboli, vittime sacrificali di un’ideologia di morte e a favore della legalizzazione dell’eutanasia, bandiere ideologiche da contrapporre a chi si batte per la Vita.

Come ultima beffa, la Regione Lombardia è stata costretta dalla Corte d’Appello di Milano a risarcire Beppino Englaro con l’enorme somma di 164mila e 453 euro per aver impedito in tutto il territorio lombardo il distacco del sondino, che alimentava e idratava la figlia, ovvero per non aver accettato di ammazzarla. In questa triste vicenda, è stato il prezzo che siamo stati costretti a pagare per restare umani.

In tale scenario desolante, in un’Europa dominata dalla cultura della morte, diventa fondamentale rievocare le parole di Papa Benedetto XVI:
«L’eutanasia è una falsa soluzione al dramma della sofferenza, una soluzione non degna dell’uomo, la vera risposta non può essere infatti dare la morte, per quanto “dolce”, ma testimoniare l’amore che aiuta ad affrontare il dolore e l’agonia in modo umano. Siamone certi: nessuna lacrima, né di chi soffre, né di chi gli sta vicino, va perduta davanti a Dio».

Giorgio Celsi e Wanda Massa

Parte I

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