30/04/2014

Da Sodoma a Torino, festival del film GLBT

400 mila euro per il festival GLBT a Torino, con il sostegno della Provincia e del Comune. “I ragazzi dell’ospitalità in questi giorni vanno nei ristoranti a negoziare i prezzi dei menù per risparmiare qualche centinaio di euro. Vi pare si possa andare avanti così?” afferma l’organizzatore.

A parte questo passaggio di pessimo gusto sull’utilizzo dei fondi pubblici, dalla presentazione del festival del cinema gay/trans piemontese si evince soprattutto un aspetto: è in atto un cambiamento in larga parte del mondo GLBT che intende uscire dal periodo di lotta per varcare le soglie dell’istituzionalizzazione. Non più approccio di rivendicazione di “diritti” ma contato riconoscimento, con le conseguenti richieste al rialzo.

Riportiamo l’articolo de La Repubblica che rappresenta molto bene questo passaggio.

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Il cosacco che fa la boccuccia sexy, col colbacco sulle ventitré, sbeffeggiando la Russia omofoba di Putin (è la nuova sigla, firmata da Max Croci) fa capire che il 29° Torino Gay and Lesbian Film Festival — da domani al 6 maggio al Massimo — parte all’insegna dell’ironia. Il direttore Giovanni Minerba cita nientemeno che Calamandrei, nelle sue note introduttive, e poi annuncia che sarà l’icona nazionalpopolare di “Finché la barca va”, Orietta Berti, già testimonial di un Gay Pride, l’ospite canterina della première di domani sera.

«Da Calamandrei a Orietta Berti — sottolinea scherzosamente Minerba — più trasversali di così...». Ha dovuto fare il restyling al festival, dice, per stare al passo con i tempi. Ma ci ha lasciato un pezzo di cuore. «Viene il momento il cui ti fanno capire che è ora di svoltare», spiega. Nuovo logo (una pizza, in senso cinematografico, e un papillon) e nuova sigla, Tglff. Addio alla locandina storica di Marco Silombria e a quel “Da Sodoma a Hollywood” simbolo di epoche più sfrontate e battagliere, con cui, assieme a Ottavio Mai, battezzò nel’86 quello che sarebbe diventato il festival a tematica omosessuale più antico d’Europa. “Anche quel nome ha fatto il suo tempo — dice il direttore con una punta di nostalgia — per una rassegna di cinema che ha sempre più spesso per protagonisti i giovanissimi, le nuove generazioni”. Da quest’anno si chiama semplicemente (e prudentemente) “L’altro festival”.

Con Orietta Berti, la madrina Ambra Angiolini e l’attore Carlo Gabardini, domani si taglia il nastro di un’edizione povera ma bella (137 film, 7 anteprime mondiali, 8 titoli italiani in concorso, omaggi a Philip Seymour Hoffman, Lou Reed e Derek Jarman, una nuova sezione di animazione a cura di Massimo Fenati) con un’ampia presenza femminile: Emma Dante riceve il Premio Dorian Gray, sponsor Klm che con Air France sostiene le iniziative del Museo del Cinema, Paola Pitagora è in giuria con Pippo Delbono, Levante canterà nella serata finale e Vladimir Luxuria è testimonial del focus sull’omofobia. “A Orietta Berti ho chiesto di cantare “Il nostro concerto”, che ha riproposto con Baglioni l’anno scorso da Fazio, in omaggio a Umberto Bindi — racconta Minerba — È la sola condizione che le ho posto. Per il resto sceglierà lei i brani in scaletta”. E intanto già si sogna di portare a Torino, per il trentennale, la Mannoia, Tiziano Ferro e la Carrà, icona sempre più planetaria dopo l’Oscar a Sorrentino. «Certo, li vorrei tutti in un’edizione super, di “all star”. Ma poi rifletto e torno alla realtà. Penso ai tagli e al Museo che arranca. E mi dico: va già bene se l’anno prossimo siamo ancora vivi”.

I vertici del Museo del Cinema (che organizza il Festival col sostegno degli assessorati alla cultura di Comune e Provincia e il contributo del Mibac e della Crt) hanno rinnovato il loro impegno per la continuità del Tglff, ma Minerba si sentirebbe più tranquillo se dal nuovo governo regionale arrivasse «un segnale forte». “Mi aspetto che la Regione torni a dare al Festival il patrocinio (ritirato dalla giunta Cota, ndr) e che il Comune, da parte sua,
reintegri i fondi per la cultura — dice — Perché le buone intenzioni non bastano”. Intanto, col budget ai minimi — 400 mila euro — il Tglff fa economia domestica. “Nello staff lavora una ventina di ragazzi, quasi gratis — conclude il direttore — Non puoi nemmeno sgridarli, in pratica fanno del volontariato. Noi del direttivo già tre anni fa ci siamo tagliati lo stipendio. Abbiamo ridotto il periodo, abbiamo ridotto i film. Siamo all’osso. I ragazzi dell’ospitalità in questi giorni vanno nei ristoranti a negoziare i prezzi dei menù per risparmiare qualche centinaio di euro. Ma vi pare che uno dei più importanti festival di cinema gay del mondo possa andare avanti così?”.

Clara Caroli

 

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