07/01/2019

Da Verona la speranza di un futuro con meno aborti

Il 2018 sarà ricordato come l’anno delle prime vere iniziative politico-istituzionali a difesa della vita nascente. Proprio nel quarantennale della legge 194/78, sono nate le prime Città a favore della vita. Verona e Ladispoli sono così diventate le avanguardie di una nuova mentalità pro life, che da un lato scardina tutti i capisaldi di mezzo secolo di battaglie femministe, dall’altro non agisce per slogan o astrazioni ma secondo una prassi che porta con sé due obiettivi molto concreti: ridurre il più possibile gli aborti e stimolare una ripresa demografica.

 Verona fa dunque da apripista alle Città a favore della vita: con una schiacciante maggioranza di 21 voti favorevoli e solo 6 contrari, lo scorso 5 ottobre, il consiglio comunale scaligero ha approvato una mozione, firmata anche dal sindaco Federico Sboarina, che impegna l’amministrazione a finanziare una serie di progetti pro life, dagli stanziamenti per i centri di aiuto alla vita, all’applicazione del progetto regionale “culla segreta”. Com’era prevedibile, l’iniziativa ha suscitato apprezzamenti entusiastici e accese contrarietà, a seconda degli schieramenti politici. In tanti, specie nel Pd, hanno polemizzato, ritenendo il progetto contrario allo spirito della legge 194/78, la quale, però, all’articolo 2, promuove l’azione dei consultori e di altri organismi finalizzati a «far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza».

Il consenso alla mozione veronese è andato oltre la maggioranza che sostiene la giunta Sboarina, ricevendo il voto anche del consigliere Pd, Carla Padovani, fortemente criticata nel suo partito per la sua opzione pro life. La Padovani è stata pubblicamente difesa dalla presidente del Movimento per la Vita italiano, Marina Casini Bandini, che ha ricordato quando, negli anni ’70, la legge 194/78 era ancora in discussione e, nel vecchio Pci era ancora possibile un dibattito in materia di aborto, come testimoniano i carteggi dell’epoca tra Giorgio La Pira ed Enrico Berlinguer.

Il modello veronese è stato riproposto a Roma da Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), in qualità di consigliere di minoranza, ma è stato bocciato dalla maggioranza trasversale Pd-M5S. La mozione della Meloni faceva riferimento anche al disattendimento degli aspetti formativi e di sostegno alle donne sui rischi dell’aborto, tanto nella modalità chirurgica che in quella farmacologica. Il testo menzionava anche i drammatici numeri dell’aborto (84.926 interruzioni di gravidanza soltanto nel 2016) e la fortissima incidenza che questi hanno sul decremento demografico. La mozione capitolina suggeriva infine «un piano straordinario che rimetta al centro delle politiche capitoline la famiglia e la natalità, a partire dalla leva fiscale, con l’introduzione del quoziente famigliare», prevedendo anche uno stanziamento di risorse a sostegno dei contri di aiuto alla vita.

Esito analogo a Milano, con la mozione di Luigi Amicone (Forza Italia), sostenuta anche dalla Lega ma bocciata dalla maggioranza del Pd e dal M5S. Il testo della mozione milanese metteva in luce, tra l’altro, due tendenze contrastanti: da un lato la mancata diminuzione degli aborti clandestini, a cui pure puntava la legge 194/78, e l’aumento degli aborti oltre il terzo mese di gestazione (vietati espressamente dalla normativa, salvo casi eccezionali), dall’altro il sempre maggiore ricorso all’obiezione di coscienza, che coinvolge il 70% dei medici italiani.

Luca Marcolivio

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