06/06/2015

Demografia, denatalità e gerontocrazia culturale

Interessante l’intervista rilasciata alla Radio Vaticana da Francesco Belletti, presidente del Forum delle Famiglie.

La denatalità è una delle cause principali della crisi. Per superarla e per superare la crisi, serve una nuova cultura.

In Italia ogni donna ha in media 1,39 figli, uno dei valori più bassi d’Europa. Il ministero della Salute ha presentato il Piano nazionale per la fertilità, per mettere il tema al centro delle politiche sanitarie ed educative. Oggi infatti il 20% delle coppie ha difficoltà a procreare e mancano informazione e prevenzione sull’argomento. Ma perché gli italiani mettono al mondo sempre meno figli? Eugenio Murrali lo ha chiesto a Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari:

R. – Le motivazioni sono molto diverse. Verrebbe la tentazione di dire: per la crisi economica. BludentalLa crisi della natalità dal 1964 è progressiva, permanente. Il nostro è un Paese che si trova da anni sotto la soglia del ricambio, è all’ultimo posto per la natalità. Gli italiani hanno paura di fare figli, non
hanno le condizioni per accogliere la nuova vita. Nel 1964 nascevano un milione di bambini, adesso ogni anno nascono poco più di 500 mila bambini con un forte contributo dei migranti. Quindi, insomma, lo scenario è davvero preoccupante: da declino demografico.

D. – Si è compiuto un vero e proprio rovesciamento antropologico. Oggi si pensa che dire “genitori giovani” equivalga a dire “genitori irresponsabili” …

R. – Stiamo derubando di un bel pezzo di vita attiva e di protagonismo le nuove generazioni. Basti pensare che i grandi inventori, gli innovatori e gli scopritori di Facebook, di Google, di Twitter, sono persone che hanno creato dai venti ai trenta anni, e noi guardiamo un ragazzo di 27-28 anni pensando che non possa prendere in mano la sua vita. Questa è proprio una gerontocrazia culturale del nostro Paese. Dovremmo restituire ai nostri giovani il protagonismo della propria vita, aiutandoli ad esser autonomi, presto, perché poi i 25, 30 anni sono l’età di maggiore fertilità. Questo significa avere una predisposizione alla genitorialità molto più fresca, una maggiore vicinanza all’età e ad un modo di essere genitori che diventa qualificante come progetto di vita. Quindi io non attribuisco di certo alla responsabilità dei giovani questo problema. È una società che spinge al ritardo, che lascia i giovani marginali anche dal punto di vista lavorativo. Quindi essere giovani e pensare di far famiglia mette insieme due marginalità del nostro Paese: bisogna che la politica li sostenga.

D. – La crisi economica, la precarietà, il crollo della fertilità: ma non manca forse anche
un’ambizione ampia del “noi”?

R. – Dal punto di vista culturale, c’è il progressivo individualismo, un forte narcisismo, una forte difficoltà a pensare al progetto di coppia come a un’alleanza per sempre e anche il fatto che purtroppo la cultura contemporanea per molti ha rovesciato le regole. Fino a pochi anni fa nessuno avrebbe osato dire che un adulto ha diritto a un figlio. Non esisteva il diritto di un adulto ad avere un bambino, ma era chiarissimo che era il bambino ad avere diritto ai suoi genitori, quindi a un papà e a una mamma. Invece oggi la natura dei diritti è stata rovesciata e quindi la genitorialità – che è un grande desiderio dell’umano – sta diventando un diritto. Quindi posso usare un bambino per il mio sogno, posso usare l’utero in affitto di una donna povera per aver un figlio… Il figlio è diventato un bene di consumo, anziché un grande compito, una grande responsabilità. Certo, dal punto di vista culturale occorre un grande lavoro per restituire l’idea della responsabilità genitoriale come un servizio al futuro.

D. – Oltre a tutelare la fertilità, evitando di bere alcolici e fumare, cosa si dovrebbe insegnare ai
ragazzi nelle scuole per educarli alla bellezza della genitorialità?

R. – C’è una sorta di letteratura divulgata, di cattivo senso comune che parla del matrimonio come della fine dei giochi, come un posto dove si è meno liberi. Invece l’esperienza di coppia è una grande esperienza di libertà e di ricerca della felicità insieme a qualcun altro. Da soli si è meno felici, questo è anche un dato sociologico molto rilevato. Le persone che vivono in famiglie stabili hanno meno malattie, vivono più a lungo, hanno più indicatori di benessere e paradossalmente, nonostante questo, continuiamo a pensare che la felicità sia il progetto di un individuo solo. La libertà, si pensa, è come poter fare quel che si vuole senza compagni di viaggio. Questo riguarda la coppia. Poi dovremmo riuscire a raccontare nuovamente che la nascita di un figlio è l’esperienza più impressionante, più importante che qualunque essere umano possa fare, sia madre o padre, che quando si diventa genitori ci si rende conto che la vita è cambiata, si ha una responsabilità in più, ma si sta costruendo il futuro di un Paese, di se stessi, della propria stirpe. È bellissimo avere figli.

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.