16/04/2013

Discutiamo laicamente su qualcosa che sembra ovvio

Nelle vacanze di Pasqua ho ricevuto una visita. Una visita, come sempre in casi simili, molto gradita: quella di un mio ex-studente. È una delle cose belle di questo lavoro difficile ma sempre entusiasmante che è l’insegnamento, quando ti accorgi che hai lasciato qualcosa, se, a distanza di anni, i ragazzi tornano a trovarti. Parliamo di tante cose, del nuovo Papa, della politica italiana e soprattutto Paolo (lo chiamerò così) mi racconta della bella esperienza di studio che sta facendo all’ estero grazie al progetto Erasmus. A breve sosterrà la discussione della tesi di laurea specialistica e poi si tratterà di trovare lavoro. Parliamo anche di questo. Gli chiedo come si stia trovando lontano da casa. Paolo mi appare un po’ teso, sul volto gli passa un’ombra. Poi mi confida una grande preoccupazione.

Nel Paese dove si trova dallo scorso ottobre ha conosciuto una ragazza, con la quale sta praticamente convivendo. Questa ragazza – che possiamo chiamare Francesca – qualche giorno fa, quando Paolo era già tornato a casa per le vacanze, gli ha comunicato via Skype, con apprensione, di essere incinta. Paolo mi confessa: «Lei ora ovviamente dovrà abortire e mi spiace non poterle essere vicino in questo momento...». Sono molte le cose che mi passano per la testa. Vorrei dire a Paolo come il legame profondo con un’altra persona sia una cosa dannatamente seria e su come sia davvero un peccato banalizzare questo dono con superficialità, in un rapporto al momento senz’altro sincero, ma che – come lui stesso ammette – con molta probabilità non è destinato a durare oltre il tempo dell’Erasmus. Non gli direi questa cosa per fargli una predica, ma come una testimonianza, visto che per certi errori, con l’irruenza di ventenne, ci sono passato anch’io. Non gli dico niente di tutto questo, perché in quello che mi ha appena detto c’è qualcosa che mi ha colpito ancora di più: quell’avverbio, “ovviamente”.

Entrambi, Paolo e Francesca, danno per scontato che l’unica soluzione possibile di fronte a una gravidanza non cercata sia l’aborto. Sui temi etici si discute tanto e continuamente: laici e credenti, cattolici “conservatori” e cattolici “progressisti” ecc. Eppure il valore della vita dovrebbe essere uno di quelli che si impongono da soli, a tutti, con la sola propria forza. Evidentemente non è così, e non lo sto scoprendo certo oggi. Rifletto però su come anche un ragazzo intelligente, sensibile, con una formazione cristiana (sebbene abbia smesso di essere “praticante”) quale conosco essere Paolo non si ponga il minimo dubbio, su come sia del tutto assente qualsiasi interrogativo morale sulla bontà o meno della decisione di sopprimere una vita allo stadio nascente. Certo, gli spiace per Francesca, capisce che un aborto non è una passeggiata, vorrebbe sostenerla, ma la cosa è stata subito decisa, senza se e senza ma. Non c’è la minima consapevolezza che stiamo parlando di una nuova persona. Questo sì, glielo dico, gli faccio presenti tutte le mie perplessità. Insomma, cerco di scuoterlo. Paolo sembra prendere in considerazione il mio punto di vista, e questo mi fa piacere.

Probabilmente sarà andato a casa un po’ più confuso di quando era arrivato da me, forse per cercare sostegno, perché mi dice di non averne parlato a nessuno, neanche ai genitori, per non allarmarli. Ma è una “confusione” che reclama vera chiarezza e non potrà che fargli bene. Non voglio giudicare Paolo. Una volta a catechismo si insegnava che, affinché si ci sia “peccato mortale” (e chi potrebbe negare che l’aborto lo sia?), occorrono tre elementi: la materia grave, la piena avvertenza e il deliberato consenso. Non so quanto gli ultimi due siano presenti in lui. Questo però mi porta, come insegnante, a pormi qualche interrogativo. Possibile che la scuola statale su un tema cruciale come questo non sia in grado di formare le coscienze? Quando riusciremo a portare questi argomenti nelle aule per una discussione franca, aperta, davvero laica nel senso più autentico del termine??

di Roberto Carnero

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