11/11/2014

Divorzio breve: la sconfitta del buonsenso

Non tutti forse sapranno che, nel decreto di riforma della giustizia civile – approvato definitivamente il 6 novembre scorso – tra le varie misure “necessarie ed urgenti”, il Governo aveva furbescamente infilato il delicatissimo tema del c.d. divorzio breve”.

Inserito, così, accanto a questioni come quella delle ferie dei magistrati e della sospensione feriale dei procedimenti. Come se un tema del genere potesse essere trattato alla stregua di una questione procedurale; come se accelerare i tempi del divorzio rientrasse tra i problemi urgenti del nostro Paese.

Con un colpo di scena invece, grazie all’opposizione del Ncd, il divorzio breve è stato ritirato dal decreto di riforma del processo civile e inserito in un disegno di legge ordinario, che dovrà essere sottoposto all’approvazione delle Camere.

Vediamo i punti cardine di questo ddl:

in caso di separazione giudiziale, viene ridotto da 3 anni a 12 mesi il periodo minimo di separazione dei coniugi per la presentazione della domanda di divorzio;

termine è ulteriormente ridotto a 6 mesi nel caso di separazione consensuale.

La presenza o meno di figli minori nati nel matrimonio non incide sulla durata del periodo di separazione che permette la richiesta di divorzio.

Non si fa neppure in tempo a tornare dal viaggio di nozze che già si può divorziare. Neanche fossimo in un fast food.

Questa è la situazione in cui tale istituto si inserirebbe: secondo le ultime stime dell’Istat, nel 2012 in Italia sono stati celebrati 207.138 matrimoni. Nello stesso anno, si sono registrate 88.288 separazioni e 51.319 divorzi.

Un dato agghiacciante, che ci mostra un’Italia dove le relazioni umane sono incredibilmente fragili e i matrimoni durano mediamente non più di 15 anni.

In questo terribile scenario, un paio d’anni fa si è inserita una bella iniziativa – per niente pubblicizzata – portata avanti da alcuni Comuni italiani (come a Bologna, Padova, Roma e Venezia), che, alla faccia di coloro che inneggiano al divorzio come una conquista sociale, hanno deciso di proporre alle coppie sposate un ciclo di incontri “salva-matrimonio”, dove esperti (psicologi, avvocati, sessuologi) dialogano con le coppie per arginare la crisi matrimoniale.

In un’intervista rilasciata al settimanale “Tempi”, la psicologa di coppia e della famiglia, la Dott.ssa Vittoria Sanese, ha apprezzato questa iniziativa sostenendo che «le amministrazioni locali si sono rese conto che i matrimoni in crisi non sono un problema della singola coppia, ma riguardano l’intera collettività».

Secondo la psicologa, il punto debole delle unioni di oggi, risiede nel fatto che le persone che decidono di sposarsi non sono davvero convinte che possa durare per sempre, […] è come se sapessero già che il loro rapporto avrà inevitabilmente una data di scadenza […].

Questo perché, purtroppo, moltissime di queste persone compiono il passo più importante della loro vita senza la giusta maturità e soprattutto senza la consapevolezza dell’entità del gesto che si apprestano a compiere. Tutto è basato sulle semplici emozioni.

Un altro motivo, secondo la Dott.ssa Sanese, è che la forma dei rapporti è spesso di carattere strumentale :«Chi decide di sposarsi con un’altra persona e di legarsi a lei, lo fa pensando che d’ora in avanti il compito del coniuge sarà quello di farla stare bene, di emozionarla, capirla, sostenerla. Il rapporto andrà in crisi quando uno dei due non si sentirà più capito e sostenuto dal marito o dalla moglie e sentirà di stare meglio da solo, di “funzionare” senza l’altro».

«Invece – aggiunge la dottoressa – un matrimonio solido è un rapporto in cui la relazione con l’altro aiuta ad essere meglio se stessi».

Per riprendere le parole di Papa Francesco, uno scopo essenziale del matrimonio è che il marito aiuti la donna ad essere più donna, ossia una donna migliore, e che la moglie aiuti l’uomo ad essere più uomo, cioè un uomo migliore (Udienza per i fidanzati, 14 Febbraio 2014).

E invece oggi, con la cultura dell’autodeterminazione, si pensa che «il mio “Io” lo trovo da solo, la relazione non mi costituisce, è solo un modo per avere accanto qualcuno con cui fare le cose che mi piacciono. Ma questa  – conclude la dott.ssa Sanese – è la strada che porta all’addio».

Checché ne dicano i promotori, e aldilà dei motivi che spingono due persone a questo passo, è innegabile che il divorzio costituisce un enorme fallimento per i coniugi. Un fallimento che non si riesce a superare tanto facilmente: un matrimonio non si può cancellare con un colpo di spugna!

Senza contare poi, i danni incommensurabili che la separazione dei genitori crea nei figli.

Insicurezza, ansia, sensi di colpa, senso di inferiorità, difficoltà nelle relazioni sociali, disordini alimentari, propensione alla violenza, abuso di alcol e sostanze stupefacenti, sono solo alcuni degli effetti deleteri che colpiscono questi figli, povere vittime delle separazioni e dei divorzi.

Diversi studi documentano persino una maggior propensione al suicidio nei figli dei separati. Tra questi “What puts children of lone parents at health disadvantage?” apparso su Lancet il 25 gennaio 2003; un altro, pubblicato dal San Raffaele di Milano, parla della propensione agli attacchi di panico; nel 2011 l’International Journal of eating disorders ha mostrato i crescenti legami con l’anoressia e la bulimia.

Un evento così critico va a toccare l’identità, la crescita, le tappe evolutive della persona: il bambino non può vivere tranquillamente la separazione dei propri genitori.

Per giustificare questa scelta, molti usano luoghi comuni del tipo: “meglio due genitori separati che due sposati che discutono continuamente”. Niente di più falso. Certamente i bambini soffrono nel vedere i genitori litigare, ma quanto imparano nel vederli mentre si chiedono perdono? E quanto soffriranno invece vivendo senza un genitore, sballottati tra una casa e l’altra, spesso usati come arma per ferire l’altro coniuge, costretti ad accettare il nuovo compagno/a della mamma o del papà, in una finta “famiglia allargata”?

L’orribile quadro delineato dalla psicologa è la fotografia di un Paese – e non è l’unico purtroppo – dove ha ormai preso il sopravvento una dilagante cultura relativista, secondo la quale tutto è giusto e niente è sbagliato, dove tutto è un diritto – di divorziare con facilità e rapidità, diritto di avere un figlio ad ogni costo e diritto di abortire se non è desiderato, diritto all’eutanasia se non si ha più voglia di vivere, diritto di sposare una persona dello stesso sesso e diritto di adottare il figlio di questa persona, diritto di scegliere il proprio sesso, etc. – e poco o niente è un dovere.

Una cultura dove persino il buon senso è diventata cosa rara, rarissima.

In un simile scenario, già così preoccupante, l’introduzione del divorzio breve non potrà fare altro che aggravare ulteriormente la situazione.

All’insegna del “tutto e subito” si vogliono cancellare di fatto i tempi di riflessione destinati al tentativo di salvare la famiglia, e, anziché prevedere norme a tutela delle parti più deboli (soprattutto i figli) e maggiori forme di assistenza alle famiglie in crisi o incentivare quelle che già esistono – terapia di coppia, percorsi di mediazione coniugale, mediazione familiare, e per chi crede, assistenza spirituale – lo Stato si veste da Ponzio Pilato e offre la “soluzione” più rapida  del divorzio breve.

La verità è che i tempi più lunghi tra la separazione e il divorzio, previsti ad oggi nel nostro ordinamento, se rettamente intesi, svolgono una funzione di aiuto, una possibilità perché le persone coinvolte possano superare l’emotività, le situazioni di conflitto.

Molte crisi sarebbero sanabili se si offrisse un aiuto concreto ed efficace alle coppie in difficoltà, e il più delle volte basterebbe davvero poco; ad esempio, finanziando centri per la famiglia (che già esistono) dove venga messo a disposizione dei coniugi un “sostegno sinfonico” (psicologi, psicoterapeuti, mediatori, pedagogisti, sessuologi, sacerdoti) che li aiuti a ricostruire il matrimonio.

Ed invece, con il nuovo testo di legge che prevede tempo così stretti, anche la semplice possibilità di sanare la crisi è del tutto esclusa.

Come ha brillantemente evidenziato il Card. Bagnasco, “in una cultura del “tutto provvisorio”, l’introduzione di istituti che per natura loro consacrano la precarietà affettiva, e a loro volta contribuiscono a diffonderla, non sono un aiuto né alla stabilità dell’amore, né alla società stessa.”(7 maggio 2012).

Altro che conquista sociale quindi. Il divorzio breve rappresenta una gravissima sconfitta della società, in quanto, insieme all’ideologia del gender e alla dittatura LGBT, va ad attaccare la cellula primordiale su cui essa stessa è costruita: la famiglia fondata sul matrimonio (art. 29 Costituzione).

Non ci resta che pregare che questo disegno di legge non venga approvato e che, una volta tanto, sia il buon senso a vincere.

Laura Bencetti

 

 

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