08/05/2013

Elisabetta è malata di spina bifida ma Rosa non abortisce. «Dio ci ha fatto incontrare medici preparati»

Mamma Rosa, papà Mario ed Elisabetta: a loro è dedicato il librino della marcia nazionale per la vita di quest’anno (12 maggio, Roma; www.marciaperlavita.it), in uscita tra pochi giorni per Fede & Cultura. L’autrice è mamma Rosa stessa, che racconta la storia della sua piccola, a cui, ancora in utero, venne diagnosticata una grave malformazione invalidante (la cosiddetta spina bifida). Mamma Rosa e papà Mario hanno affrontato, come tanti genitori, il terrore di fronte all’ignoto: un figlio ancora nascosto nel grembo, di cui non si vedono né manine, né visino, né altro; di cui i medici ti dicono che sarebbe bene abortirlo, eliminarlo. E in fretta. Ma cosa è l’aborto? Possiamo, o non possiamo, moralmente? La vita è un dono o un nostro possesso? E cosa può oggi la medicina? Solo uccidere, o anche guarire? Queste alcune delle domande che Rosa e Mario si sono posti, sin dall’inizio, passando dallo sconforto e dalla paura, sino ad approdare alla volontà di accogliere, comunque, la vita. Consapevoli, oggi che Elisabetta ha quattro anni, di aver fatto la scelta più giusta, più umana, più cristiana.

Mamma Rosa, cosa significa sentirsi dire “sua figlia sarà malata. Sua figlia non potrà mai camminare”?
Nel momento della diagnosi si ha un continuo susseguirsi di sentimenti contrastanti, non riuscivo a pensare, avevo sentito parlare di spina bifida ma non conoscevo niente non sapevo di cosa parlassero.

Dopo la diagnosi vi è stata prospettata la possibilità dell’aborto. Ma cosa significa davvero, per te, “abortire”?
Fino a quel momento conoscevo la parola, ma non sapevo come avveniva, mi è stato proposto perché la bambina che avevo in grembo era gravemente malata e, secondo un’opinione tacita della società, senza diritto alla vita. L’anno prima avevo avuto una gravidanza extrauterina, pensavo che l’IVG avvenisse nello stesso modo, avevo poca conoscenza. Chiesi al mio ginecologo che mi chiarisse come avviene l’interruzione; dopo la spiegazione io e mio marito ci siamo guardati negli occhi e insieme abbiamo detto:” E’ un omicidio”.

Cosa ha significato per voi incontrare sulla propria strada medici umani, scientificamente preparati, amici della vita?
Qualcuno potrebbe dire che siamo stati fortunati, personalmente penso che Dio abbia voluto farci incontrare questi medici preparati che pongono la vita come priorità assoluta; parlando con loro, mi sono accorta fin dalla prima volta che per loro Elisabetta non era un numero o un esperimento, ma una persona che loro potevano e volevano aiutare. Fin dalla diagnosi si parlava di Feto, solo Feto; al primo incontro con questi medici, ci fu chiesto come avremmo voluto chiamare la nostra creatura, dandole così un’identità. Per me questo è stato molto importante, la mia bambina ancor prima di nascere era una persona.

Oggi Elisabetta c’è, cammina, è curiosa, vuole conoscere, giocare… A vederla è una vera forza della natura. Con quali occhi guardate oggi, il dolore passato, e la gioia presente?
Guardiamo il tutto con speranza, una speranza che si riaccende quando in tv si sente parlare di bambini che hanno bisogno di cure particolari, sperimentali; ho quasi l’impressione che per la società moderna o si è perfetti e produttivi o non si ha diritto a vivere. La nostra gioia è dimostrare che Elisabetta pur avendo una malattia invalidante ha voglia di vivere; noi gli abbiamo dato la possibilità di vivere la vita in autonomia. Questo non sarebbe successo se non avessimo scelto l’operazione in utero. Ringrazio ogni dottore, vorrei che i dottori che offrono l’aborto come soluzione, prima di farlo riflettessero solo un’ attimo, pensassero al sorriso di un bambino, alla gioia e al dolore che in quel momento prova la gestante; quei dottori dovrebbero attenersi alla regola che prevede in caso di diagnosi nefaste sia presente un psicologo che aiuti la mamma e il papà (se presente) a scegliere. Per me la scelta della vita, è sempre giusta, non delude mai ogni giorno si può assaporare, gioire, piangere, è una scelta a 360 gradi.

Fonte: Tempi

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