01/07/2017

Eutanasia – L’omicidio di Eluana Englaro

In questi giorni abbiamo visto come una sentenza del Consiglio di Stato obblighi la Regione Lombardia a pagare un risarcimento danni a Beppino Englaro. Ma Eluana era viva ed è stata vittima dell’eutanasia, che i politici italiani vorrebbero legalizzare. 

Ripubblichiamo un articolo sul “caso Eluana” pubblicato nel marzo del 2015, ma sempre attuale. 

Sono passati già sei anni dal 9 febbraio 2009, giorno in cui, in seguito ad una sentenza ideologica della magistratura italiana e al culmine di una lunga ed estenuante campagna mediatica e giudiziaria, vennero interrotte l’alimentazione e l’idratazione a Eluana Englaro, provocandone l’atroce morte per inanizione e disidratazione. Fa sorridere e, allo stesso tempo, è amaramente significativo il livello di mistificazione della realtà esposta dalla celebre enciclopedia on-line “Wikipedia”, per la quale Eluana Englaro avrebbe condotto la sua vita: «fino alla morte naturale sopraggiunta a seguito dell’interruzione della nutrizione artificiale». Un chiara lettura faziosa e rovesciata dei fatti, che fa passare per naturale la morte inflitta dall’interruzione volontaria degli ordinari e proporzionati mezzi di nutrimento, sebbene somministrati per vie artificiali, necessari a tenere in vita e in salute la paziente.

Eluana, vittima a 21 anni, il 18 gennaio 1992, di un grave incidente stradale, viveva in stato vegetativo da 17 anni, alimentata con un sondino nasogastrico. Non era una malata ter- minale, avrebbe potuto vivere un altro mese, un altro anno, altri 17 anni o chissà, se non fosse stato che il padre della ragazza, Beppino Englaro, che ne era il tutore, a distanza di 7 anni dall’incidente, decise di intraprendere una agguerrita battaglia legale, spalleggiato dai Radicali, per ottenere l’interruzione della somministrazione di acqua e cibo e mettere cosi fine all’”inutile esistenza” della propria figlia.

Il travagliato iter giuridico inizia nel 1999, quando, prima il tribunale di Lecco, e poi la Corte d’appello di Milano, respingono l’istanza del genitore, che ci riprova nel 2003, e poi nuovamente nel 2006, ricevendo identici responsi. Sia il tribunale che la Corte rigettano infatti il ricorso con una sentenza che stabilisce come l’alimentazione non possa essere interrotta «perché non rappresenta accanimento terapeutico». Ma il 16 ottobre 2007 arriva il colpo di scena: la Cassazione, dopo aver bocciato nel 2005 il ricorso, rinvia la decisione alla Corte d’appello di Milano, dichiarando che il giudice può, su istanza del tutore, autorizzare il distaccO del sondino in presenza di due presupposti: l’assoluta irreversibilità clinica dello stato vegetativo del paziente e l’accertamento, sulla base della personalità e dello stile di vita precedente, della sua chiara volontà di interrompere il trattamento. Il 9 luglio 2008, la Corte d’Appello Civile di Milano stabilisce, dunque, che Beppino Englaro, in qualità di tutore, possa ottenere l’autorizzazione ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione che manteneva in vita Eluana per: «mancanza della benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno». Decisione che, come anticipato, verrà messa in atto pochi mesi più tardi, il 9 febbraio 2009.

Eluana Englaro è stata dunque condannata a morte, in quanto, secondo i sostenitori dell’eutanasia, in seguito agli irreversibili danni subiti nel tragico incidente, rispecchiava appieno la condizione di vita “non degna di essere vissuta”, una prospettiva evidentemente ideologica e pericolosa contro cui metteva in guardia Mario Palmaro, sottolineando l’ambiguità e la falsità di una concezione basata sulla qualità del- la vita, che avrebbe potuto in futuro ridurre, se non addirittura eliminare, il dovere di curare un malato incosciente, «per cui non solo le persone in stato vegetativo, ma anche pazienti in coma, con danni cerebrali gravi, malati di mente, neonati, potranno essere assimilati al caso di Eluana, e “lasciati morire”».

Eluana, in realtà, nonostante fosse in stato vegetativo, era piena- mente “vitale”, nel senso che i suoi processi biologici funzionavano alla perfezione, come sottolineato in- fatti, allora, da Gianluigi Gigli, ordinario di neurologia all’università di Udine: «Eluana non è in coma, è in stato vegetativo,(...). La differenza è fondamentale: non vive a letto, dorme e si sveglia, non è attaccata a un respiratore, muove gli occhi. Non può alimentarsi autonomamente, ma sta bene e non assume farmaci». Le era persino tornato un regolare ci- clo mestruale. Nessuno di noi può sapere o pretendere di conosce- re la volontà e le sensazioni della Englaro che dopo essere caduta in stato vegetativo non era più in grado esprimersi.

Certo, fa impressione e dovrebbe fare riflettere a fondo i promotori della “dolce morte”, la vicenda del sudafricano Martin Pistorius, il quale, risvegliatosi dopo 12 lunghi anni di buio totale, ha raccontato la propria straordinaria storia in un libro, intitolato “Ghost Boy”, nel quale scrive: «Il momento più brutto è stato quando ho sentito mia madre dire: “Spero che tu possa morire”. Pensava che io non la sentissi». Martin, bloccato dall’età di 12 anni nel proprio corpo, seppur inerme e impotente, sentiva e capi- va ogni cosa: «Mi sono risvegliato e ho cominciato a essere cosciente di ogni cosa che mi veniva fatta o detta, ma per gli altri non esiste- vo quasi più. Mi trovavo in un luogo molto buio». Nel libro autobiografico il giovane sudafricano racconta di aver impressi nella memoria tutti gli avvenimenti più importanti accaduti in questo lungo periodo di blackout: «Ricordo perfettamente di essermi reso conto dell’elezione di Mandela a Presidente del Sudafrica nel 1994, della morte di Lady Diana nel 1997 e dell’11 settembre, ma non riuscivo a comunicare con gli altri». Dopo il miracoloso risveglio, nel 2009 Martin si è sposato con Joanna e oggi vive e lavora a Harlow, in Inghilterra.

Eluana Englaro in Italia, cosi come Terri Schiavo negli Stati Uniti e oggi Vincent Lambert in Francia vengono utilizzati, loro malgrado, come simboli a favore della legalizzazione dell’eutanasia, bandiere ideologiche da sventolare in faccia agli “impietosi” e “crudeli” oppositori. E, come scriveva sempre Palmaro a proposito del caso Englaro, tale incessante martellamento ideologico scalfisce gradualmente le ragionevoli certezze, provocando un deleterio disorientamento nella gente comune: «Lasciando pure da parte quanti hanno già una posizione pro-eutanasia, vicende come questa producono un senso di smarrimento, di paura, di confusione anche fra co- loro che sono in buona fede o che addirittura sono contro l’uccisione pietosa. Le certezze vacillano e gli argomenti del “nemico” sembra- no a un tratto persuasivi, pieni di buon senso. Si diffondono frasi del tipo: “In una situazione del genere, meglio farla morire”. Questo clima è paragonabile all’indebolimento che rende un corpo umano facile preda di una malattia virale. Lo stesso ac- cade al corpo sociale, una volta che le sue “difese immunitarie” morali siano minate dal tarlo del dubbio e della paura».

Il 25 gennaio la Marcia per la Vita di Parigi è stata dedicata proprio a Vincent Lambert e a tutte le persone disabili che trovandosi in uno stato vegetativo rischiano di fare la fine di Terri Schiavo e di Eluana Englaro: morire di fame e di sete. In Italia invece l’appuntamento, per riaffer- mare la cultura della Vita e ribadire il proprio no all’aborto, all’eutanasia e a tutti i programmi che, in maniera sempre più aggressiva, attentano la vita umana, è domenica 10 maggio 2015 alle ore 14 a Castel Sant’Angelo da dove partirà la quinta Marcia nazionale per la Vita al grido: «Per la Vita senza compromessi!».

Rodolfo De Mattei

Fonte: Notizie ProVita n. 28, marzo 2015, pp. 17 e 18


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