10/03/2015

Eutanasia : una sconfitta per tutti

E’ di questi giorni la notizia – riportata (o propagandata?) da “Repubblica” – che un infermiere cattolico dell’ospedale Careggi di Firenze avrebbe praticato l’eutanasia staccando spine di pazienti terminali per risparmiare loro ulteriori sofferenze e liberare letti per altri malati.

Dico “avrebbe” perché difatti la testimonianza di questo supposto infermiere risulta anonima, quindi non confermata dal medesimo.

Fatto reale o ennesima invenzione di Repubblica? Il dubbio sorge spontaneo. Un infermiere – guarda caso cattolico – che rilascia un’intervista anonima, perché sennò – questo vorrebbe far intendere “Repubblica” – se si mostrasse col suo nome, potrebbe essere messo al rogo da questo Stato cattolico schiavo del Vaticano! Solita solfa, che vuole ridurre il dibattito pro o contro l’eutanasia a uno scontro tra cattolici ingerenti e laici liberali.

Ridurre il discorso dicendo che i cattolici sono contro l’eutanasia e i non cattolici a favore, è una semplificazione che offende la ragione di tutti gli uomini e che ci costringe a rinunciare alla nostra capacità critica. Si semplifica il discorso dicendo che i cattolici sono dei dittatori che vorrebbero imporre la vita sofferente a tutti, mentre certi uomini sono i liberatori che permettono a chiunque di decidere della propria vita. Il ragionamento è molto subdolo e convincente. Ma la questione è ben diversa.

Il problema non sta nella volontà dell’individuo ma nel cuore di un’intera società. Chi vuole morire deve essere aiutato, non accontentato. Si parla tanto di questa volontà di morire, ma dov’è la volontà di morire? La realtà concreta ci mostra che gli uomini vogliono vivere se si sentono attorno un’umanità amorevole nei loro confronti. Il problema dell’eutanasia è una questione di cuore, nel senso più alto del termine, di umanesimo, di empatia, di carità, di dedizione, di altruismo, e quando questo viene meno, il malato perde la speranza e rinuncia a vivere.

D’altra parte, quando un uomo si trova in certe condizioni, come si fa a prendere sul serio la parola volontà? Chi accontenta il malato è un uomo che lascia solo l’altro a se stesso, disinteressandosi, come un giovane erede egoista che vedendo il nonno sul letto di morte si augura che questi tiri in fretta le cuoia; chi viceversa lo aiuta, rende grandi quelle qualità umane che rendono così bello il nostro essere umani.

In un oceano di brave persone, che si mettono al servizio di altri per aiutarli a vivere, “Repubblica” tira fuori dal suo cilindro un fatto (e se non c’è lo si inventa) allo scopo di sovvertire una visione del mondo e della vita. Esistono i divorzi? Bene, allora legalizziamoli. Esistono gli aborti? Bene, legalizziamoli. Esiste la prostituzione? Legalizziamola. Esistono i drogati? Legalizziamo la droga. Esistono uomini che chiedono di morire? Bene, legalizziamo l’eutanasia. Il discorso è vecchio. Se un fenomeno esiste, va regolamentato, e se un fenomeno c’è va legittimato – vorrebbe dirci “Repubblica”.

E dal dato di realtà, ecco che deve nascere un diritto quasi per generazione spontanea. Così, dal fatto vero o presunto di questo infermiere di Firenze, Umberto Veronesi è tornato alla carica per chiedere che sia fatta una legge sull’eutanasia per rispettare il diritto a morire. Solita solfa, quando il concetto di diritto qui non c’entra proprio niente. Si martella tanto sul fine vita solo perché in alcuni uomini – che vorrebbero divulgare il loro “verbo” – regna la non accettazione della sofferenza come situazione esistenziale.

Difatti lo stesso Veronesi sarebbe favorevole all’eutanasia pure per i depressi, qualcosa che è già presente in Olanda e Belgio, e che al di là di ogni mistificazione ci fa capire bene come la richiesta di una legge sul fine vita non è legata alla situazione contingente del malato, quanto all’autodeterminazione dell’uomo che dovrebbe essere lasciato libero di fare ciò che vuole, anche di morire. Quando la vita viene giudicata positiva solo in vista del piacere e del benessere, la sofferenza appare come uno scacco di cui dobbiamo liberarci a ogni costo. E ogni sofferente è lo specchio della nostra misera condizione, di ciò che saremo anche noi a breve o forse anche subito.

Il punto riguarda proprio questo: la sofferenza. L’eutanasia e le logiche eutanasiche vogliono eliminare non tanto il dolore fisico, che oggi si riesce a limitare molto, quanto la sofferenza esistenziale, lacerante, drammatica, di una vita che non è ritenuta “degna di essere vissuta”. E quando la repulsione verso la sofferenza sarà totale, la vita del povero, dell’infermo e del disabile sarà inevitabilmente segnata perché li si vorrà eliminare tutti, chiamandola ovviamente atto di carità perché la vita di oggi per alcuni è come per gli antichi gnostici: una sofferenza di cui doverci liberare.

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Per ora si afferma che una persona ha tutto il diritto di continuare a vivere, se questa è la sua volontà, ma è soltanto una cosa momentanea, perché quando passerà l’idea che basta un difetto per avere la matematica infelicità, allora subentrerà l’eutanasia attiva come atto di carità. In altre zone d’Europa, bambini che nascono con certe malattie vengono soppressi per protocollo: il bambino malformato è come un prodotto uscito male dalla fabbrica che il negoziante prende e va a buttare nella discarica. Ed è una mentalità che certi personaggi cercano di diffondere anche alle nostre latitudini. Questo è il meccanismo dell’eutanasia: dire che la malattia è umiliante in se stessa e che ogni forma di amore è una tortura e niente più.

Ma allora chi potrà salvarsi? Già quarant’anni fa, nel gennaio del 1975, il grande drammaturgo franco-rumeno Ionesco metteva in guardia l’umanità dalla possibile deriva della mentalità eutanasica, e capiva che ogni vita doveva essere tutelata, qualsiasi fosse la sua condizione: “Ogni vita deve essere salvata, ogni vita è fonte di sofferenza, ma anche di gioia e di contemplazione” scriveva. “Ma l’eutanasia, esercitata su vecchi, su infermi o su handicappati e l’aborto fanno parte di un insieme: disprezzo della vita, disprezzo dello spirito, disprezzo dell’uomo, disprezzo della metafisica, disprezzo della vita personale [...] Per una volta, sarei del parere di praticare l’eutanasia sugli eutanasisti”. In questo modo, continuava idealmente in un altro articolo di pochi mesi antecedente, “Il pianeta sarebbe sensibilmente alleggerito e noi potremmo vivere, giacché, se occorre rispettare la morte come dicono, occorre pure e sopra tutto rispettare la vita. Possiamo diventare vecchi senza essere obbligati a metterci al riparo, giacché anche le persone anziane saranno presto minacciate”. Queste parole sono profetiche. In certi ambienti della nostra società aleggia infatti il pensiero secondo cui sarebbe meglio se gli anziani si facessero fuori da sé. Essendo ormai altissimo il carico delle pensioni, un costo che lo Stato non può più sostenere, per riequilibrare il sistema demografico certa gente è lungi dall’incoraggiare le nascite (i sociologi ne indicherebbero tre a coppia), ma più sbrigativamente invitano i vecchi a crepare per mano propria, usando anche qua il valore rovesciato della carità, facendo loro credere che compierebbero un atto davvero lodevole nei confronti della collettività.

Chiaramente i personaggi che portano avanti simili istanze eutanasiche sono ben lontani dal dare il buon esempio in prima persona. Questi uomini non fanno direttamente del male, ma, molto più gravemente, affinano le tecniche per spargere il male negli altri, non in modo diretto ma in modo subdolo, che è la cosa più disgustosa che ci sia. E’ facile infatti capire che se la malattia non è accettata socialmente, i malati chiederanno di morire non perché lo vogliano veramente ma perché la società creata da certe elite li fa sentire un peso inutile.

E’ ciò da cui ha messo di recente in guardia il papa, denunciando una società efficientistica che rifiuta i vecchi, in quanto la cultura del profitto fa apparire gli anziani come una zavorra e un peso: non solo non producono, ma sono un onere, e allora vanno scartati. In questo modo, non accettando il limite negli altri, si aumenta l’angoscia nelle persone che si sentono rifiutate dalla società non appena hanno un problema. Non è un caso che in Olanda i suicidi per eutanasia siano aumentati drasticamente una volta introdotta la legge. Altro che decisione del singolo! E’ la mentalità di una società che decide il destino di una persona! E oggi una elite vorrebbe dimostrarci scientificamente che di fronte al dolore è meglio farla finita, mentre è soltanto questa elite che vorrebbe farci fuori non uccidendoci ma (passatemi il neologismo) suicidandoci!

Amombogì

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