09/02/2015

Gaystapo: inquisizione nella Regione Friuli

La Gaystapo sottopone gli insegnanti e i lavoratori del settore scuola del Friuli Venezia Giulia a un questionario – sondaggio intimidatorio e lesivo della libertà di pensiero ...

... neanche della libertà di “manifestazione” del pensiero (protetta dall’art.21 Cost.), qui è in gioco proprio la libertà di pensare.

Quando, qualche tempo fa quando la Diocesi di Milano ha tentato di avviare un’indagine conoscitiva nelle scuole per sapere se erano stati avviati progetti educativi improntati all’ideologia gender, è scoppiato un putiferio che probabilmente ben ricordate.

Questa “indagine” invece è legittima? E quando si indagherà tra i dipendenti pubblici per conoscere le loro opinioni politiche? Religiose? La tanto idolatrata privacy conta o non conta?

Riportiamo il commento e alcuni inquietanti particolari sulla questione descritti in un articolo apparso sul sito di Vita nuova Trieste.

Qui potete leggere con i vostri occhi il questionario.

Pochi lo sanno, ma la Regione sottopone i dipendenti della scuola pubblica ad una indagine ai raggi x per sapere se sono omofobi. Le domande intimidatorie contengono già le risposte.

Si chiama “Progetto regionale di prevenzione e contrasto al fenomeno del bullismo omofobico” il piano elaborato dalla Giunta Ragionale del Friuli Venezia Giulia nel novembre 2013, in collaborazione con Arcigay e Arcilesbica. Nella delibera si legge che «il fenomeno dell’omofobia si sta diffondendo nel contesto italiano e in quello regionale e nel contempo l’ambiente scolastico e familiare risultano ancora impreparati ad affrontarlo». Per questo si sta svolgendo in vari Istituti scolastici della Regione un’indagine rivolta a studenti ed operatori scolastici, predisposta dal Dipartimento Scienze della Vita dell’Università di Trieste.

Un’irruzione dall’alto senza coinvolgere gli organi collegiali.

Si dimostrerà così – per la prima volta in Italia – sulla base di un campione ampio, la necessità di un intervento nei confronti di giovani e docenti. Ma è grave che sia le famiglie sia i protagonisti della scuola non siano adeguatamente informati su quanto si sta facendo: in alcuni istituti il progetto non è stato nemmeno votato in Collegio docenti e nei Consigli d’Istituto, ma si è deciso di andare direttamente nelle classi, aggirando gli organi di gestione democratica. Inoltre sul questionario degli studenti c’è il massimo riserbo e nemmeno i Dirigenti scolastici ne conoscono il contenuto.

Siamo riusciti ad entrare in possesso del fascicolo rivolto agli operatori scolastici, docenti e personale Ata, e possiamo dire che i sospetti suscitati da tanta circospezione risultano fondati. Si tratta infatti di domande superficiali e ambigue, chiaramente volte a dimostrare una tesi precostituita. Ad esempio si chiede: “A scuola, quando a qualcuno/a viene detto o viene scritto di lui/lei ‘finocchio, frocio, checca, culattone/lesbicona, pervertita’, cosa fanno gli insegnanti/collaboratori scolastici generalmente?”

Bludental

A parte la vaghezza del quesito, come fa un docente o un bidello a rispondere con cognizione di causa in uno dei seguenti modi: “Non sono presenti; non se ne accorgono; nulla perché sono ragazzate; fanno finta di nulla/ giustificano chi offende intervengono in sua difesa ma le offese poi aumentano; intervengono in sua difesa ma non cambia nulla; intervengono in sua difesa e le offese diminuiscono, cessano”.

Ma chi deve compilare il questionario si trova in difficoltà sin dalla prima affermazione, dove deve dire se è molto d’accordo o molto in disaccordo rispetto all’affermazione: “Il rapporto sessuale tra due uomini è semplicemente qualcosa di sbagliato”. È chiaro infatti che se uno si dice d’accordo sarà tacciato di omofobia, se invece dice di essere in disaccordo sarà considerato un fedele esecutore del programma di rieducazione dei discenti. La cosa risulta particolarmente insidiosa per un operatore della scuola, il quale alla fine dovrà indicare la data di nascita e la classe in cui opera: il che equivale a dichiarare le proprie generalità.

Da varie dichiarazioni pubbliche di Arcigay e Arcilesbica, risulta poi evidente che lo scopo dell’operazione non è tanto quello di tutelare persone omosessuali da aggressioni dovute a bullismo, che è un fenomeno a sé, non legato direttamente all’omofobia, bensì quello di giungere a una rieducazione dell’intera società, diffondendo la teoria secondo cui l’identità sessuale non esiste in natura, dato che saremmo tutti, da sempre, bisessuali e polimorfi, secondo le teorie del gender.

Nella regione Friuli Venezia Giulia, a guida Serracchiani, genitori e docenti si stanno comunque organizzando per contestare tale concezione e per invitare a non collaborare con l’indagine che si sta propinando nelle scuole, con la quale si vorrebbe dimostrare, contro ogni evidenza, che viviamo in un contesto omofobico e che il personale insegnante non è in grado di gestire la situazione.

Roberto Castenetto, Pordenone

Marco Gabrielli, Trieste

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