21/12/2016

Gender a scuola: Avvenire dà credito alla Fedeli

Il 20 dicembre Avvenire pubblicava una lettera di Valeria Fedeli, nuova e non indiscussa titolare del Ministero dell’Istruzione, la quale secondo noi promuove calorosamente l’ideologia gender.

“Fedeli: il mio impegno per educare alla parità tra uomo e donna”, titolava Avvenire.

La signora Ministro (a noi “ministra” sa di pasta e fagioli...) scriveva : “Non ho mai fatto riferimento a una supposta ‘teoria gender’, tanto meno a una ‘ideologia’, non solo perché il pensiero ideologico mi è strutturalmente estraneo [ma non era marxista? e il Marxismo non era un’ideologia?, NdR], ma perché una simile ideologia, ammesso che esista, e non è mai stata d’ispirazione per l’operato mio, o del Parlamento o del governo [e i libretti dell’UNAR, tanto per dirne una?]. Vorrei che la parola gender uscisse dal nostro vocabolario in questa accezione minacciosa, e che tornassimo a parlare di uguaglianza tra donne e uomini, in linea con le normative nazionali e internazionali sui diritti umani“.

Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, la ringrazia per “la lineare chiarezza” ed è lieto che – secondo lui – la Fedeli abbia rassicurato tutti sul fatto che il gender (quello “brutto e cattivo” che vuole abolire le differenze tra i sessi) non esiste – e se esiste non le appartiene, e si tratta solo di assicurare “l’uguaglianza tra donne e uomini “.

Strano che Tarquinio non abbia letto il disegno di legge presentato dalla stessa Fedeli in proposito, da cui si evince chiaramente che l’educazione di genere che la signora Ministro vuole è proprio quel gender ideologico che dice non appartenerle. Possibile una tale contraddizione? Possibile che un Ministro dica una bugia?

Poi, il Direttore ha dato ampio spazio ad altri interventi anestetizzanti e tranquillizzanti:  tutti convinti che la Fedeli – per carità – non è paladina dell’ideolgia gender. E che rassicurano e assicurano che non ci saranno pre-giudizi sull’operato della nuova inquilina di Viale Trastevere.

Avvenire, invece, non ha – almeno finora – pubblicato la lettera di Mario Adinolfi: eppure è stato lui ad aver il merito, per amor di chiarezza ancor più lineare, di svelare le bugie dette dalla Fedeli a proposito dei suoi titoli di studio. Ma, forse, Adinolfi ha toccato un nervo scoperto a tutti quelli (come Avvenire) che hanno avuto ben altro atteggiamento con le bugie di Oscar Giannino:  non era Ministro, ma semplice candidato, ma  è stato costretto non solo a ritirare la candidatura, ma a scomparire nel nulla e per sempre per un’analoga panzana sul suo titolo di studio.

A dirla tutta e fuori dai denti, tutto sommato, a noi importa poco dei titoli di studio della Fedeli. Il fatto, poi, che sia stata colta sul fatto nel dire una grossa bugia ... beh, una bugia può anche scappare di bocca...

(Anche due, invero: qualche mese fa, nel pieno della campagna referendaria, Valeria Fedeli aveva dichiarato pubblicamente che se avesse vinto il NO al referendum costituzionale non sarebbe rimasta a “scaldare” una poltrona).

E poi, il fatto che Tarquinio le perdoni e non le rinfacci le due succitate menzogne, invece, potrebbe essere – per un cattolico adulto come il Direttore di Avvenire – uno strascico del “giubileo della misericordia”, quindi comprendiamo anche che possa aver messo in sordina per un momento l’Ottavo Comandamento.

Tarquinio & compagnia vogliono “abbassare i toni”. E del resto a Natale bisogna essere buoni. Ma non riusciamo a  vedere  “lineare chiarezza” in una che già nella lettera ad Avvenire scrive “uguaglianza tra uomo e donna” invece di “pari dignità” o “parità tra uomo e donna”, come titola il giornale. NON c’è uguaglianza tra uomo e donna. Non può esserci e non ci sarà mai. Perché l’uomo e la donna sono diversi. E questa diversità è una ricchezza preziosa che ha consentito la conservazione della specie fino ad oggi. Gli ideologi del gender invece promuovono l’indifferentismo sessuale che rovina giovani, ragazzini e perfino bambini piccoli.

Non solo.

Se le parole della Fedeli sono davvero sincere (questa volta?) allora perché non dimostra la sua buona fede ritirando il ddl 1680 da lei presentato come prima firmataria e intitolato “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”?

Rammentiamo a chi non avesse già letto quanto spiegato qui che la proposta vorrebbe introdurre nei programmi e nei materiali didattici di tutte le scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado – la «promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza» (art. 1, comma 2).

E se leggete tutto il testo, vedrete chiaramente che l’intenzione di eliminare le ingiuste (e odiose) discriminazioni delle persone in base al sesso è solo apparente. E’ il solito cavallo di Troia per eliminare ogni discriminazione (anche quelle giuste e sacrosante) tra maschi e femmine.

E ci sembra inutile star qui a spiegare perché le discriminazioni giuste sono sacrosante (se il fisco non discriminasse tra ricchi e poveri? E se in cucina non si discriminasse tra cibo sano e cibo avariato?...).

Del resto abbiamo avuto modo di chiarire per bene perché l’educazione secondo una prospettiva di genere” non ci garba (e perché “il gender” nuoce soprattutto ai nostri figli).

Il 28 settembre 2015, alla radio, le era stato chiesto :«Valeria ma è vero che vorresti introdurre l’Educazione di Genere nelle Scuole e nelle Università?» e lei ha risposto: «Certamente.  C’è già nella “Buona scuola”», alludendo al famoso comma 16. E come al solito poi ricomincia a mischiare le carte in tavola con la storia delle discriminazioni. E dice anche che si tratta di far studiare l’articolo 3 della Costituzione. Ebbene se fosse vero (questa volta), non ci sarebbe bisogno di alcuna legge nuova, né di alcun comma 16: in qualsiasi corso di studi – a qualsiasi livello – in cui si fa un po’ di diritto o solo un po’ di educazione civica, l’articolo 3 della Costituzione si legge e si spiega. E la norma decreta la “pari dignità sociale” tra tutti i cittadini a prescindere dal sesso. Non c’è proprio alcun riferimento al “genere”.

Perciò, a noi le  dichiarazioni della signora Ministro non sembrano affatto brillare di “lineare chiarezza”. E non ci stupisce. Ci dispiace molto, invece,  che il Direttore  Tarquinio veda così chiaro dove invece di torbido ce n’è. E più ci si documenta, più ne vien fuori.

Francesca Romana Poleggi


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