25/01/2019

Gender e non solo, parla F. Agnoli: «A Verona l’opportunità e l’inizio del contropiede»

Tra i partecipanti al Congresso Mondiale delle Famiglie (Verona, 29-31 marzo 2019), figura anche Francesco Agnoli. Il giornalista, scrittore, docente e storico terrà una relazione nell’ambito del panel sulla dignità della donna nel corso dei secoli. A colloquio con Pro Vita, Agnoli ha anticipato i contenuti del suo intervento, accennando anche alla recente controversia sulla “video-lezione gender” di Vladimir Luxuria.

Il vespaio di polemiche intorno al caso Luxuria-Rai non si ferma. Pare proprio che l’ideologia gender non riesca a schiodarsi dai palinsesti televisivi. Lei come la vede?

«Siamo di fronte a una delle ultime declinazioni di un fenomeno culturale lungo cinquant’anni, iniziato con il Sessantotto e culminato con la presidenza Obama, che però adesso vive una sua fase di remissione e di graduale allentamento. Dopo almeno un decennio di ‘santificazione’ della categoria Lgbt, presentata come oppressa e minacciata dalla presunta omofobia, questa narrazione ha iniziato a stufare l’opinione pubblica, anche perché è evidente che l’ideologia e la realtà sono molto diverse.
Quanto al caso cui lei ha accennato, per quale motivo Luxuria dovrebbe sentirsi in dovere di raccontare la sua vita privata ai bambini di tutta Italia? Forse per creare un effetto domino o di emulazione? Si cerca di destabilizzare la normalità, specie attraverso l’introduzione precoce a tematiche non adatte alla fascia d’età cui vengono proposte. È un tentativo di indottrinamento: quando si parla a un bambino di qualcosa che non può capire, è evidente che si cerca di non farlo ragionare più. È anche un tentativo di ridurre una persona alla sua sessualità, un’operazione violenta, per certi versi inevitabile perché veniamo da anni di confusione di ruoli, di sessi e nel rapporto uomo-donna.
Se il rapporto uomo-donna non ritorna su binari tradizionali, al di là della propaganda mediatica, avremo sempre un problema concreto. Viviamo in una società con un tasso di conflittualità e divorzi così alto, che non può non generare problematiche di identità. Dobbiamo sicuramente evitare che questa cultura li amplifichi e poi, soprattutto, dobbiamo ricostruire il tessuto umano: l’uomo deve essere uomo, la donna deve essere donna e anche il rapporto uomo-donna deve tornare a essere il più possibile un rapporto di alleanza, non di conflitto. Questo, però, è un processo molto lungo, in cui la cultura deve fare la sua parte, così come la Chiesa che, in questo momento, è assolutamente assente in questa opera di ricostruzione».

Il tema della dignità della donna e del “genio femminile” sarà al centro della sua relazione al prossimo Congresso Mondiale delle Famiglie. Esattamente di cosa tratterà?

«Proporrò innanzitutto una ricostruzione della narrazione femminista, secondo gli stereotipi ben conosciuti: donne sempre oppresse, pestate, avvilite, uomini sempre cattivi, prepotenti e omicidi. La storia reale è chiaramente un po’ diversa… Parlare di storia al femminile, vuol dire ricordare i tanti contributi che le donne hanno dato all’umanità in moltissimi campi, anche se questi contributi sono stati spesso dimenticati. Il positivismo e lo scientismo hanno dato della donna un’immagine avvilente che peraltro non corrisponde a quella cristiana. Il Settecento, l’Ottocento e il Novecento sono stati secoli terribili per la donna e per la madre. È vero che i rivoluzionari, i fascisti e i comunisti esaltavano la madre, ma per loro la madre era ridotta alla sua funzione biologica di procreatrice di cittadini, di contribuenti o di militari. Oggi abbiamo un’ideologia gender che nega la biologia ma ciò è dovuto anche al fatto che, in passato, la donna e l’uomo sono stati ridotti alla biologia e depauperati della loro individualità e singolarità: questo ha a poco a poco svuotato la maternità, la paternità, la femminilità e la mascolinità del loro significato. Quindi, il terrore della differenza sessuale, della differenza dell’identità, è anche il sintomo della perversione del concetto di identità che viene portata avanti da tre secoli.
Nella mia relazione, racconterò delle donne che, a partire dal Medioevo, sono state decisive e hanno dato contributi fondamentali, ad esempio, nella storia degli ospedali e dell’accoglienza, e di come questi contributi siano stati occultati, cancellati e considerati inutili dalla cultura moderna. Nella cultura positivista, per esempio, la scienza è identificata essenzialmente con la matematica e con la fisica: questa visione tende a dimenticare che l’uomo, oltre che per la sua intelligenza, si distingue per il suo amore, per la sua dedizione, per la sua buona volontà, per la sua libertà. Virtù e propensioni tipicamente femminili, come la pietà, l’accoglienza, l’educazione, rientrano in un primato dell’amore, conosciuto precedentemente e poi rinnegato dall’intellettualismo ottocentesco.
Il percorso di recupero delle identità tradizionali si prospetta molto lungo ma andrà a ridefinire concetti come, ad esempio, quello di madre. Bisogna rompere quegli schemi che vengono ripetuti all’infinito e che diventano la gabbia in cui viviamo. Le grandi questioni vengono affrontate per slogan e gli slogan che sono stati imposti, impediscono un ragionamento diverso. Rompendo questi slogan, si aprono prospettive diverse».

Il Congresso di Verona potrà anche rappresentare un’opportunità per contrastare in modo unitario l’ideologia gender a livello internazionale?

«Certamente, dopo un lungo periodo ‘in difesa’, che è corrisposto in particolare a iniziative positive come i Family Day, sta iniziando una fase di ‘contropiede’. L’offensiva dei gruppi Lgbt si è rivelata un inganno, mentre le condizioni politiche, le esigenze della gente, il senso della realtà stanno iniziando a prevalere. Il Congresso segna questa ripartenza e l’inizio di un percorso nella direzione opposta che sarà lungo almeno quanto il precedente ma, corrispondendo alla natura umana, sarà agevolato dal venir meno delle ideologie, dall’indebolimento della strategia Lgbt che è pervasiva ma che è giunta al suo capolinea».

Luca Marcolivio

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