01/11/2017

Giornata Mondiale della Psicologia: intervista a Del Forno

All’indomani della Giornata mondiale della psicologia, abbiamo intervistato il professor Domenico Del Forno, psicologo, psicoterapeuta, già Docente di Medicina Legale della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli Federico II, Componente Comitato Etico Università Federico II.

Ci ha parlato dell’importanza della psicologia e degli psicologi, in una società contraddittoria (globalizzata ma individualista), della mancanza di riferimenti certi in famiglia all’origine del disagio delle nuove generazioni, che si rifugiano nella realtà virtuale (che è finta, non è realtà). Spiega a proposito delle DAT che lo psicologo può accertarsi che la persona esprima la sua volontà in modo consapevole (ma – sottolineiamo noi – la proposta di legge non garantisce alcuna valutazione psicologica in tel senso). Secondo lui andrebbero quindi valutate caso per caso le situazioni in cui chi ha fatto le DAT è incapace di ribadire o revocare la sua volontà. In relazione alla questione del dovere del medico di curare che potrebbe cozzare con la volontà del paziente, risolve la questione bioetica sposando la Scuola  Principialista di Engelhardt (che si contrappone alla bioetica personalista di mons. Sgreccia).


  • Da pochi giorni si è svolta la Giornata Nazionale della Psicologia nel nostro paese. Ci può parlare da psicologo di quelli che sono i problemi maggiori su cui intervenite? Quali sono le emergenze che riguardano la nostra società ?

E’ apprezzabile che si faccia riferimento alla Giornata Nazionale della Psicologia, iniziativa che ha segnalato, con la partecipazione di tante persone agli eventi realizzati dagli ordini territoriali, il grande interesse per la disciplina e per la professione e ha posto in evidenza la necessità che i responsabili istituzionali diano spazio maggiore all’azione psicologica sia come risposta ai bisogni della collettività che nella dimensione esplorativa-indagativa dei fenomeni socio-economici-culturali in cui è immersa la persona.
I problemi su cui lo psicologo è chiamato a svolgere la sua attività sono generalmente individuati in quelli di natura clinico-assistenziale per la cura dei disagi psicologici, nella loro accezione che comprende gli aspetti di natura intrapsichica e quelli relazionali. In questo ambito, i disturbi d’ansia sono quelli su cui più spesso ci si trova a intervenire quando ineriscono al vissuto individuale, i conflitti nelle separazioni coniugali, in presenza di minori, sono le problematiche relazionali che frequentemente vengo all’osservazione, anche se sono notevolmente aumentate le psicopatologie da conflittualità lavorative e/o da fenomeni di mobbing. Va sottolineato che la psicologia ha una operatività disciplinare e professionale in molti campi differenti da quelli dell’impegno clinico- assistenziale come quelli della psicopatologia forense, dello sport, della selezione del personale, dell’organizzazione del lavoro, scolastico, dell’ambiente, dell’etica e della bioetica della comunicazione, etc. Al momento, comunque, il campo clinico assistenziale è quello in cui emerge il maggiore impegno, anche se è auspicabile un maggiore allargamento negli altri ambiti in cui la psicologia già fornisce un importante contributo.
La nostra società vive una grande contraddizione che si realizza nel processo di globalizzazione che, per sua stessa configurazione concettuale, dovrebbe contenere la prospettiva socio-culturale di spinta alla maggiore capacità di integrazione e solidarietà tra le diversità che si incontrano e, invece, ha determinato un modello sociale in cui la concezione competitiva ha portato a un’ottica individualizzata dell’agire dei singoli che mira, unicamente, al perseguimento del successo personale. Questa contraddizione sta ingenerando una progressiva perdita di identità delle persone, nel senso di riconoscimento del sé in un processo che implica il riconoscimento dell’altro diverso da sé. L’integrazione tra identità e disuguaglianza è stato il tema su cui è stato portato un apprezzato contributo della psicologia dal Presidente nazionale prof. Fulvio Giardina in un recentissimo convegno di bioetica e etica, svoltosi all’Università di Napoli Federico II e organizzato dal Comitato Etico Università Federico II, presieduto dal Prof. Claudio Buccelli.
Un’altra emergenza che, sul piano psicologico, si deve evidenziare riguarda l’eccesso di informazioni che vengono alla nostra attenzione. Si sta verificando un pericoloso processo di assorbimento dell’informazione senza elaborazione critica. Ciò è molto più evidente negli adolescenti e nei giovani che si trovano, per esempio, a riprodurre meccanicamente realtà virtuali nel loro agire senza mediazione cognitiva. Ciò, in alcune circostanze, conduce -, come in molti casi si è verificato – a riprodurre le violenze dei giochi virtuali nella realtà fattuale, con tragiche conseguenze.

  • Spesso si parla di giovani generazioni. I ragazzi /ragazzini di oggi sono psicologicamente più fragili di quelli di ieri? Colpa del divorzio e delle separazioni? Colpa della realtà virtuale?

Vale la pena sottolineare che sarebbe un errore definire in maniera generica lo status di una realtà come quella giovanile. La categorizzazione deve essere unicamente utilizzata come mezzo di semplificazione per l’individuazione delle componenti sociali, ma non per l’espressione di valutazioni ascrivibili alla totalità del gruppo di riferimento. Nei giovani esistono realtà di eccellenza che sanno trarre profitto dai mezzi dello sviluppo tecnologico e dalle nuove conoscenze di cui dispongono e sacche di giovani che non utilizzano tali opportunità, anzi le concepiscono solo come privilegi di cui hanno diritto in forza di uno spirito di omologazione insopprimibile. Per i giovani bisogna, poi, evidenziare la profonda trasformazione che sta avvenendo nel rapporto tra le diverse identità di genere maschile e femminile. L’emergere della ridefinizione della figura femminile che ha assunto il riconoscimento pieno della sua autonomia e, quindi, una maggiore forza per esprimersi nel contesto sociale, ha certamente posto in rilievo alcune fragilità dei maschi, fragilità forse prima mascherate da una configurazione sociale con sovrastruttura ideologica del sistema di matrice patriarcale. Certamente la crisi del modello familiare – che trae origine non solo dalle separazioni, ma anche dalle dinamiche che nella struttura stessa della famiglia si sviluppano in conseguenza di assorbenti impegni lavorativi dei genitori, non in grado, così, di sorvegliare, assecondare e rinforzare il processo evolutivo dei figli – può essere causa di strutturazione di personalità insicure e, quindi, fragili, per l’assenza di punti di riferimento stabilmente costruitisi anche attraverso i modelli esemplificativi colti da una presenza significativa dei genitori nella loro vita quotidiana. Ecco che anche la realtà virtuale a cui si appoggiano alcuni giovani che vivono queste situazioni, diventa una possibile causa di insicurezza in quanto i modelli che derivano dal mondo virtuale, quando si impattano con la realtà fattuale, si palesano irrealizzabili, producendo frustrazione nel giovane che a quel modello aveva affidato i suoi possibili comportamenti sociali.

  • L’uomo nel tempo cambia la percezione delle cose e delle situazioni. Psicologicamente valutare una potenziale condizione di infermità e poi trovarcisi davvero è molto diverso? Come considerare, allora, le Dichiarazioni Anticipate di Trattamento ai fini della libertà e autodeterminazione dell’individuo?

È indubbio che i vissuti rispetto alla fantasia e all’immaginazione sono una costruzione che non sempre coincide con quanto si percepisce nella propria realtà interiore di fronte agli avvenimenti concreti. Richiamando Allport si può affermare che “ogni esperienza umana è unica e irripetibile”, in ciò sottolineando il continuo e inarrestabile cambiamento che la persona ha in rapporto alle proprie esperienze di vita. Tema delicato è quello delle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento che assume valori etici di straordinaria rilevanza. Non è compito precipuo dello psicologo la riflessione sui temi etici, ma non si può non evidenziare, sul piano bioetico, la diversità delle concezioni laica e cattolica, l’una portatrice di una concezione fondata su scelte che tengono conto della qualità della vita privilegiando l’autodeterminazione come libertà e diritto inviolabile della persona, l’altra, quella cattolica, che concepisce la vita come “un dono di Dio” e, quindi, nella indisponibilità della persona. Lo psicologo può occuparsi della questione nel merito della valutazione sulla capacità della persona di esprimere in maniera consapevole, quindi senza limiti alla capacità di intendere e volere di natura cognitiva e/o emotivo-affettiva (vale a dire in assenza di disturbi psicopatologici), la propria volontà.

  • Altra ipotesi. Una persona che soffre per un motivo fisico o psichico dice di voler morire ma poi nel tempo cambia completamente idea. Da psicologo le risulta un dato comune? Perciò, sempre ai fini delle DAT non è inopportuno assecondare la richiesta di chi vuol morire? Proprio perché nella vita il nostro giudizio cambia a seconda delle situazioni reali.

Come già sottolineato, non c’è dubbio che una persona, in ragione delle esperienze e degli eventi che vive, può attribuire valori differenti alle sue scelte, modificando l’espressione di volontà precedentemente dichiarata. Un esempio di questo riconoscimento è dato dal consenso che viene rilasciato per il trattamento sanitario di routine e per la sperimentazione clinica. In entrambi i casi la legge prevede il diritto del paziente di ritirare il consenso dato in ogni momento, senza avere il dovere di fornire una motivazione o una giustificazione. In ragione di tali assunti sarebbe ragionevole prevedere che la DAT sia riassunta nel momento in cui la condizione per la quale si era espressa la “volontà anticipata” si realizza, ovviamente in presenza di una accertata capacità psicologica di esprimere liberamente e consapevolmente la propria scelta. Caso diverso è quello in cui la persona ha espresso una DAT relativa all’ipotesi che si verifica una condizione di malattia mentale che determina una incapacità totale a decidere per la propria vita in maniera consapevole (esempio della demenza). In questo caso la riassunzione della volontà diventa impraticabile. Qui entrano in gioco le diverse concezioni etiche e bioetiche che, comunque, andrebbero sempre calate sul caso concreto, da valutare con una rigorosissima analisi di tutto quanto ha accompagnato la vita della persona verso la quale si è chiamati ad agire o non agire in rapporto alla volontà espressa. E qui si apre un altro ampio capitolo di riflessione che investe il tema dell’accanimento terapeutico su cui è troppo ampio il ventaglio delle considerazioni da potere essere discusso in questa occasione.

  • Infine, qual è allora il ruolo del professionista psicologo che studia la psiche umana? Quello di far star meglio il paziente o quello di assecondarlo nelle sue richieste, anche contro il suo benessere oggettivo?

Qui vale la pena richiamare quanto affermava Engelhardt nel suo Manuale di Bioetica: “[…] i principi di autonomia e di beneficialità danno luogo a un acuto contrasto fra gli obblighi di rispettare la libertà delle persone e gli interessi morali a conseguire il loro bene. .. Certamente non vi è luogo ove tali conflitti siano più intensi e dolorosi che nella medicina, dove rispettare la volontà dei pazienti può condurre a tragici rifiuti da parte loro[…]. Il rispetto della libertà e la preoccupazione di conseguire i migliori interessi si contrappongono e si scontrano quali radici principali e distinte della morale. Di conseguenza il prezzo del rispetto della libertà è spesso la perdita tragica, ma moralmente inevitabile, di beni importanti”.
Il dato può estendersi alla Psicologia che, ovviamente, pone al centro l’interesse per il benessere della persona, ma non può fare a meno di uniformarsi ai diritti fondamentali della persona, costituzionalmente sanciti: quello all’autodeterminazione (Art.13 – La libertà personale è inviolabile) e quello alla salute (Art.32 – Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario).
Ancora all’intervento psicologico si può ricondurre quanto ha affermato il Comitato Nazionale di Bioetica in merito al rapporto medico-paziente: “Al centro dell’attività medico-chirurgica si colloca il principio del consenso, il quale esprime una scelta di valore nel concepire il rapporto tra medico e paziente, nel senso che detto rapporto appare fondato prima sui diritti del paziente che sui doveri del medico.”

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