23/12/2018

Guerra al presepe: da strumento di ricatto, a Torino, a strumento di provocazione a Bari

Non c’è pace tra gli ulivi neanche quest’anno per il simbolo della Natività per eccellenza: il presepe, ormai al centro di una vera e propria guerra ideologica, è diventato un campo di battaglia su cui si scontrano idee politiche di schieramenti diversi ma anche questioni sociali e religiose che, molto spesso, finiscono per far perdere di vista quello che è il significato vero e magari anche unico di questo importante simbolo natalizio ovvero la rappresentazione e il ricordo della nascita di Cristo.

Dalla Sacra Famiglia sommersa dalle bottiglie di plastica ad Acquaviva, in provincia di Bari, al Gesù Bambino che nasce sul gommone in molte parrocchie italiane che inneggiano all’accoglienza, fino alla rappresentazione in chiave “gay friendly” con due San Giuseppe in un centro commerciale del piacentino, circa un anno fa.

Tuttavia non finisce qui perché ultimamente, oltre a strumento di battaglia con cui ingaggiare improbabili guerre socio-culturali, pare che il simbolo del Natale sia diventato anche un efficace strumento di ricatto. Ebbene sì, suona strano ma è proprio così: stiamo parlando di una delibera del sindaco Chiara Appendino che obbliga chiunque richieda l’occupazione del suolo pubblico per qualunque tipo di manifestazione, a barrare una casella (all’interno dell’apposito modulo nel quale si specificano le caratteristiche della manifestazione, le tempistiche e la logistica) in cui si dichiara ufficialmente di essere disposti a «rispettare i valori sanciti dalla Costituzione, non professando e/o praticando comportamenti fascisti, razzisti, omofobi, transfobici e sessisti».

È proprio questo ciò con cui hanno avuto a che fare alcune ignare persone che, qualche giorno fa, hanno richiesto l’occupazione di una delle piazze della città per allestire un presepe vivente. Potremmo definirla una concessione gratuita ma a un prezzo altissimo: la rinuncia ai propri principi e alla propria libertà di pensiero. Tra l’altro l’accettazione dei principi della Costituzione, citata nel modulo, ha a che fare sì con il presepe, ma non come strumento di ricatto, piuttosto per la ragione contraria, seppure indirettamente, ovvero come tutela del diritto di tutti i cittadini alla libertà religiosa, di culto (articolo 19) e di espressione (articolo 21) che, trattandosi appunto, di diritti “costituzionali” non possono essere sottoposti a condizionamenti di alcun tipo, come in questo caso.

Ma oltre a liberare la pubblica espressione della fede da imbavagliamenti di sorta, forse, oggi, sarebbe il caso anche di porre fine alle provocazioni che vengono lanciate usando un simbolo culturale così importante e che rimanda al sacro. In questo caso il riferimento è alla mostra che da alcuni giorni si sta tenendo presso la cappella del Castello Svevo di Bari: Giuseppe Carta. Epifania della Terra; con l’opera Sacra Famiglia. Omaggio ad Antonello da Messinadi Nicola Genco, a cura del Polo Museale Della Puglia e di ETRA. L’installazione, costituita da statue in terracotta, carta e ferro, pubblicizzata per alcuni giorni sulla pagina facebook del Polo Museale della Puglia, sembrava chiaramente rappresentare Gesù Bambino in braccio a due san Giuseppe. E solo qualche giorno dopo che l’immagine ha suscitato l’indignazione di alcuni, è stata postata la foto con l’installazione definitiva, dove sul capo di una delle due statue (entrambe dall’aspetto androgino, peraltro) era stato aggiunto un velo azzurro, in riferimento a Maria. Più che un falso allarme, ci è sembrata una banale provocazione: non si è mai visto infatti che si pubblicizzino opere d’arte ancora in fase di allestimento. Ci auguriamo, allora, per questo Natale e per i prossimi, che il rispetto verso le altre religioni che oggi si predica tanto, parta finalmente da quello verso la propria e che il sacro torni a occupare il posto d’onore che gli spetta, senza essere più oggetto di offese e strumentalizzazioni di sorta.

Manuela Antonacci

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