12/11/2014

Italia: Cassazione dice no alla pratica dell’utero in affitto

Non vi è alcuna possibilità di veder riconosciuta nell’ordinamento italiano la cosiddetta pratica dell’utero in affitto condotta all’estero, vietata dalla Legge 40/2004 e da tale divieto discende necessariamente la dichiarazione dello stato di adottabilità del minore.

A gelare definitivamente le speranze di una coppia che si era recata in Ucraina, per comprare un figlio, è la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione con la sentenza 24001/2014 redatta dal Consigliere Carlo De Chiara .

Nel merito la vicenda parte dalle indagini di un Pm insospettitosi di fronte alla dichiarazione di nascita fatta dalla coppia che aveva presentato un certificato ucraino che li riconosceva entrambi come genitori biologici. Dagli accertamenti della Procura emergevano enormi lacune nella procedura e veniva anche accertato che i due coniugi non avrebbero potuto procreare; inoltre il certificato anche se debitamente postillato non poteva essere riconosciuto in quanto contrario all’ordine pubblico, visto il divieto posto dalla legge 40.

Da qui l’allontanamento del minore dalla coppia ricorrente, «giustificato» anche dal comportamento illegale dei dichiaranti che avevano scientemente eluso la norma italiana.

La motivazione – La Suprema corte, in primis, chiarisce che la postilla attesta soltanto la «veridicità» del certificato, ma non certo la sua efficacia nel nostro ordinamento; inoltre nel concetto di ordine pubblico non rientrano soltanto i «valori condivisi della comunità internazionale», ma esso comprende anche «principi e valori esclusivamente propri» purché «fondamentali e perciò irrinunciabili».

Dunque, scrivono i giudici, «il divieto di pratiche di surrogazione di maternità è certamente di ordine pubblico» venendo in rilievo «la dignità umana – costituzionalmente tutelata – della gestante e l’istituto dell’adozione», con il quale la surrogazione di maternità «si pone oggettivamente in conflitto» perché soltanto a tale istituto «l’ordinamento affida la realizzazione di progetti di genitorialità priva di legami biologici con il nato».

In definitiva per la Cassazione sia il certificato di nascita ucraino che la locale legge sulla maternità surrogata sono contrarie all’ordine pubblico. Il primo, dunque, non può avere «efficacia» nel nostro paese e la seconda «non può trovare applicazione».

Per le motivazioni suddette quindi non si pone neppure la questione della “perdita” della potestà genitoriale in quanto essa non è mai stata assunta dalla coppia.

Finalmente una sentenza chiara, tra le tante di “giurisprudenza creativa” fatte per forzare la mano su questioni etiche che invece devono essere inderogabili. Un passo avanti per  fermare la compravendita di bambini.

Redazione

Fonte: Il Sole 24ore

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