12/05/2015

La legge naturale esprime valori assoluti, eterni, immutabili

Lunedì 11 maggio, presso l’Università Europea di Roma, si è svolto un convegno in cui si è parlato di legge naturale e legge positiva. Il tema era “Le leggi ingiuste e la disobbedienza civile”.

Il convegno si è svolto all’interno della Settimana della Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma, ed è stato dedicato all’indimenticabile Prof. Mario Palmaro.

Sono state affrontate da giuristi, storici e filosofi le tematiche inerenti l’adozione di leggi sui diritti fondamentali della persona che implichino un giudizio sui valori eticamente sensibili, che riqualifichino il concetto stesso di persona umana, e le opzioni da assumere di fronte agli arbitrii dello stato laicista o totalitario che impedisca la libera espressione della libertà religiosa nella sfera pubblica dello spazio politico istituzionale.

Uno degli illustri relatori, il professor Luca Galantini, ci ha inviato queste sue riflessioni in proposito, che pubblichiamo per gentile concessione de La Croce, il quotidiano che potete trovare in edicola.

Presto vi esporremo anche i contenuti degli altri interessantissimi interventi.

convegno_UPRA_legge naturale

Nel suo libro dedicato al rapporto tra diritto e giustizia, le Leggi, Platone ritiene che ogni norma debba necessariamente essere preceduta da un proemio, da una premessa in cui il legislatore giustifichi le ragioni che ha posto alla base di quel comando di legge.
Costretti dalla modernità a inchinarsi passivamente ad ogni legge indistinta in nome del principio di legalità, purtroppo molti giuristi hanno dimenticato quella magistrale dimostrazione di saggezza nel solco del diritto naturale.

Nel pensiero giuridico occidentale il tema della giustizia come fondamento unanimemente condiviso che giustifichi il diritto e dia un senso alla norma di legge si è concretizzato per secoli nel diritto naturale, un complesso normativo cioè sganciato dai limiti storici, sovrastrutturali, sociologici propri della finitezza umana, e discendente invece dal riconoscimento di una oggettività assoluta, naturale appunto, della giustizia e della verità.

La constatazione che viviamo una fase storica di cambiamenti epocali, di trasformazioni profonde e radicali della definizione giuridica della persona umana, è così ovvia da divenire un luogo comune. Così come è ovvio e scontato che in Occidente da due secoli il diritto sia calato in un contesto culturale dominato dal relativismo etico e dal positivismo giuridico: la leggenda nera che il laicismo ha costruito sulla dottrina del diritto naturale ha proiettato l’immagine di una visione metafisica dogmaticamente ideologica e assertiva, ottusamente fissata in senso antistorico, riduzionista perché incapace di dialogare con la scienza: un’arma spuntata, per dirla con Benedetto XVI.

Ma se sottoponiamo ad una verifica a contrariis il primato della norma imposto in nome della mera certezza dell’autorità legale del legislatore, del formalismo costituzionale giuridico che ambisce a ridefinire i fondamentali della persona umana – una volta abbandonato il riferimento alla legge naturale – cosa è oggi in grado di garantire la bontà e giustizia della legge, e cosa quindi mi vincola come cittadino al rispetto della obbligazione giuridica? In particolare cosa mi vincola a rispettare nuove e sconvolgenti definizioni giuridiche della persona umana e della famiglia?

I risultati sono tragici sotto il profilo teorico-argomentativo, e ancor più tragici sotto la lente degli esiti della frammentazione del tessuto sociale e relazionale come ben dice Stephen Stich.

La pretesa ossessiva di imporre l’evidenza di diritti umani che non abbisognano di fondamenti assoluti di giustizia ma trovano in sé la giustificazione morale ha prodotto la fondazione di un diritto apodittico e non dimostrabile nelle sue basi scientifiche razionali.

A questa mesta conclusione si collega, oggi, una delle tesi più note dell’intellettuale laico Norberto Bobbio.

Dice Bobbio che è impossibile fondare razionalmente i diritti umani ma al tempo stesso è impossibile rinunziarvi, e che il fondamento di codesti diritti, che sono condizione per l’attuazione della dignità umana, sia solamente l’appello a questi valori ultimi: un asserto apodittico e quindi indimostrabile scientificamente e giuridicamente.

Esempio solare, a mio avviso, del magistrale fallimento di una cultura laicista, di ispirazione ideologica indifferentemente liberale o liberista, socialista o postmarxista, che intende fondare prometeicamente da sè i diritti fondamentali della persona umana escludendo il contributo della fede religiosa ad un polifonico virtuoso dialogo con la ragione, come opportunamente rilevava Joseph Ratzinger nel suo dialogo con Jurgen Habermas all’Accademia Cattolica di Monaco di Baviera.

E qui giungiamo agli esiti problematici di politica pratica che si pongono ad ogni uomo di buona volontà: infatti se si nega la fondazione dei diritti fondamentali della persona in nome di una oggettiva ricerca del bene comune, al relativismo giuridico del terzo millennio non resta che ancorarsi a regole costituzionali avvalorate da procedure democratiche di gestione del consenso secondo regole maggioritarie.

Gli esiti di questo approdo normativo sono contenuti con indiscutibile fredda oggettività in quel concetto di diritto mite così definito dal costituzionalista Gustavo Zagrebelski: “Ogni regime democratico fondato sulla regola della maggioranza introduce nel mondo del diritto un elemento di artificialità in quanto il diritto è il prodotto della lotta tra le fazioni politiche disciplinate nell’alveo della stessa Costituzione.”

Il diritto in quanto affermazione di un ordine giusto e incontrovertibile non sarebbe dunque compatibile con la democrazia che è invece legata all’opinabilità e dunque alla relatività. La democrazia dunque ucciderebbe il diritto naturale, e con esso ogni qualsivoglia proposta sui diritti fondamentali dell’uomo che sia illuminata dal confronto tra fede e ragione.

Bludental

Da questa precisa consapevolezza è indispensabile partire per saper proporre paradigmi giusnaturalistici cristiani in grado di orientare assiologicamente la storia dell’umanità. Il giurista cattolico deve cioè saper argomentare l’evidenza: l’evidenza del fallimento del senso di giustizia e del senso della vita insito nel diritto positivo proprio del relativismo imperante.

Papa Giovanni Paolo II aveva lucidamente intuito il dramma dello sfaldamento dei diritti della persona nel sazio mondo libero occidentale già in occasione del crollo dei regimi comunisti in Europa orientale: nelle Encicliche Centesimus Annus ed Evangelium Vitae, gli ordinamenti democratici e liberali come quelli occidentali, non totalitari dunque, che riconoscano legalmente principi contrari alla vita, come l’aborto, l’eutanasia, lo stravolgimento del ruolo famiglia naturale-procreazione, l’artificiosa teoria del gender, sono regimi evanescenti condannati alla dissolvenza perché stravolgono alla base le radici su cui si reggono, cioè i diritti dell’uomo.

La posta in gioco è enorme, perché attiene alla capacità ed al rischio per il giurista di mantenere o perdere la propria identità: non è infatti sufficiente né tantomeno accettabile – come ben sottolinea Francesco D’Agostino – di fronte all’empasse della prassi procedurale del diritto moderno ripiegare su un irenico quanto diluito appello all’impegno nella carità per il prossimo attraverso leggi che perseguano il bene comune.

Se la carità è privata di una retta consapevolezza di ciò che è giusto o ingiusto è assai ragionevole dubitare che si traduca in leggi che perseguono il bene e dunque la verità.

Ecco perché a mio avviso la buona battaglia per la tutela dei diritti umani è una battaglia che va condotta anche e soprattutto fuori delle aule legislative, in quanto è una battaglia culturale che ha il fine di proporre all’uomo una risposta razionale e salvifica di fronte al dramma nihilista che il diritto odierno porta nelle società civili postideologiche: la perdita del senso della vita, la tragica distruttiva idea che nulla abbia senso e nulla abbia valore, e che dunque ogni diritto possa dissolversi in semplice pretesa solipsistica sganciata dalla riflessione comune sulla sua meritevolezza di tutela quale presupposto finalistico di ogni diritto.

E‘ stato scritto che la Chiesa, seguendo Cristo, cerca la verità, che non sempre coincide con l’opinione della maggioranza. Ascolta la coscienza e non il potere: questa mi sembra la lezione che ognuno debba seguire per affermare in questi tempi così controversi la speranza nell’universalità della giustizia e della verità.

Luca Galantini

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