11/04/2018

La verità può far male, ma violenza è solo l’aborto

«Esporre la verità sulla vita pre-natale non è violenza. È realtà».

Così scrive Marco Guerra su La Nuova Bussola Quotidiana, a proposito della vicenda del maxi manifesto di  ProVita Onlus«Un modo per far capire a tutti che, ognuno di noi, a 11 settimane, è già una persona e che se siamo vivi è perché nostra madre non ha abortito». Pura verità.

«Non c’è essere umano che non sia stato nel grembo materno; a prescindere dal tipo di persona che siamo diventati nel corso della nostra esistenza, ognuno di noi a 11 settimane di vita aveva un cuore che batteva e tutti gli organi presenti, ed ora siamo qui perché le nostre mamme non ci hanno abortito.

Non serve fare riferimento alle più recenti tecniche della radiologia, né agli studi più aggiornati dell’embriologia, per poter affermare questa semplice verità. Eppure, ricordare questo dato della biologia umana su un cartellone di sette metri per undici, secondo le solite centrali del pensiero unico dominante è un atto di “integralismo religioso” e un messaggio “crudo e violento” che “offende uomini e donne”. Sono queste infatti le accuse piovute addosso alla maxi affissione (la più grande mai fatta in Italia sul tema della vita) comparsa in via Gregorio VII a Roma, firmata dall’associazione ProVita Onlus.

aborto_manifesto_strage_verità “Difendere la vita con messaggi così crudi e violenti non appartiene alla storia delle donne, né della città”, si legge nella nota diffusa dalle consigliere dem che hanno chiesto e ottenuto la rimozione del manifesto. 

In realtà il manifesto affisso dalla associazione pro life rientra in una più ampia campagna per la protezione al diritto alla vita, accompagnata da una petizione (si può sottoscrivere qui) “affinché il ministero della Salute garantisca che le donne vengano messe a conoscenza delle conseguenze, provocate dall’aborto volontario sulla loro salute fisica e psichica”.

Tutto questo è visto come un attacco alla legge 194 sull’interruzione di gravidanza, di cui ricorre il quarantesimo anniversario il prossimo 22 maggio. In questi quattro decenni sono stati eseguiti 6 milioni di aborti, computo in cui non rientra il vero e proprio boom di aborti farmacologici effettuati tramite la pillola Ru 486, la pillola dei cinque giorni dopo e quella del giorno dopo. Si stima infatti che solo nel 2016 sono state vendute circa 400mila confezioni di pillole abortive. Tutto questo è avvenuto mentre il Paese è sprofondato verso il tasso di natalità più basso da quando esistono le rilevazioni sulla demografia, appena 1,3 figlia per donna. Considerando anche i crescenti problemi di fertilità che colpiscono le donne, non si capisce quindi per quale motivo sia un attentato alla libertà delle donne chiedere che lo stato italiano garantisca un informazione puntale alle donne in merito alle conseguenze dell’aborto.

Insomma possibile che nel 2018 la vita prenatale e l’aborto siano diventati temi tabù, che non possono essere oggetto di discussione pubblica ma solo di dogmatiche e granitiche posizioni?

Possibile che ragazze e ragazzi, che nelle scuole vengono eruditi su ogni tipo di contraccettivo, siano privati del sacrosanto diritto di conoscere quali pratiche minacciano maggiormente la loro salute riproduttiva?

Probabilmente questa isteria censoria si è scatenata proprio perché il manifesto ha colto nel segno, mostrando la vita umana nella meravigliosa cornice della simbiosi madre-figlio. ProVita, dal canto suo, rilancia e annuncia una conferenza stampa sulla salute delle donne, che si terrà al Senato, martedì 11 aprile, alla quale interverranno anche diverse parlamentari».

Marco Guerra

Fonte: La Nuova Bussola Quotidiana

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