27/12/2018

La vittoria del presepe classico contro gli scandali utili solo alla polemica

Ma quanto è bella la banalità di un presepe classico con il Bambinello, Maria, San Giuseppe, il bue e l’asino? Senza la presunzione di voler a tutti i costi lanciare messaggi diversi dal miracolo della nascita di Cristo? Fu San Francesco d’Assisi  a istituire il primo presepe della storia, di ritorno dalla Terra Santa durante una sosta nel villaggio di Greggio. Volle riprodurre la Natività per riaffermare la natura umana di Dio, il suo farsi uomo in condizioni di estrema umiltà. Da allora il presepe è diventato il simbolo del Natale, al punto che la nascita di Cristo ha rappresentato una preziosa fonte di ispirazione per numerosi artisti nel corso dei secoli.

Oggi purtroppo, spesso e volentieri, il presepe ha assunto anche una funzione ideologica, fino a essere quasi utilizzato per lanciare messaggi “politicamente corretti”. È il caso per esempio del presepe multietnico realizzato ai giardini Madre Teresa di Calcutta di Torino, una zona particolarmente difficile a causa dell’alta presenza di cittadini stranieri, dove l’integrazione incontra molte difficoltà e dove si è costretti a fare i conti con parecchie emergenze sociali. Maria ha il volto di una donna nera, Gesù quello di un bimbo mulatto, San Giuseppe di un uomo bianco. Così come a Napoli è consuetudine ogni anno mettere in scena presepi con i personaggi della politica. Il che è anche divertente da un certo punto di vista e utile a far sorridere le persone. Se quindi può essere anche legittimo utilizzare il presepe, simbolo d’amore per eccellenza, per lanciare messaggi di pace e promuovere la fratellanza universale, non si può non evidenziarne la chiara distanza dai presepi “classici”: quelli cioè che tutti noi siamo abituati ad ammirare nelle opere dei grandi artisti all’interno di chiese e musei e che sembrano esaltare, solo ed unicamente, il messaggio cristiano; ovvero il Dio creatore che si è fatto uomo ed è sceso sulla Terra per salvare l’umanità.

Ci può anche stare un pastore nero, e ci possono stare anche i Re Magi con il volto tipico dei diversi continenti, ma le figure principali, Maria, Giuseppe e il bambinello, dovrebbero quantomeno essere preservate da aspetti di tipo ideologico. Altrimenti il rischio è quello di far passare in secondo piano il messaggio centrale, ossia il mistero dell’Incarnazione. È evidente come, di fronte al presepe di Torino, ciò che salta subito agli occhi non è il bambino che nasce, ma il colore della pelle dei personaggi e il messaggio ideologico legato all’integrazione che si intende lanciare. Il presepe, che dovrebbe essere simbolo di amore e di unità, rischia così di diventare fonte di divisioni e polemiche. E allora, evviva la straordinaria banalità dei presepi classici. Perché alla fine sono questi che trionfano nel panorama culturalmente corretto che sembra dover necessariamente ricondurre tutto alla complessità del contesto storico e politico del momento. Ma l’umiltà del presepe è talmente grande da restare straordinariamente attuale in ogni epoca della Storia.

Americo Mascarucci 

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