22/12/2017

Le Iene, DJ Fabo e la propaganda

Sulla questione del biotestamento, come su altri temi etici su cui si è discusso e si discute in Parlamento, la vera battaglia, si sa, non si combatte in aula ma in TV, sui social media e, in generale, con gli strumenti di propaganda tipici dei totalitarismi di inizi ‘900, ma in chiave “democratica”.

In modo più o meno compiacente, diverse trasmissioni televisive di servizio pubblico, nate per altro scopo, orientano i loro programmi e i loro servizi per favorire l’instaurarsi di una certa mentalità popolare, scardinando le certezze e insinuando dubbi al fine di ricodificare l’ovvio come assurdo e l’assurdo come indice di progresso. E’ già successo con la legge sui “matrimoni” gay, al secolo “unioni civili”,  e la storia si è ripetuta, neanche a dirlo, per la legge sulle DAT, appena approvata al senato.

La trasmissione televisiva “Le Iene”, nata come trasmissione di servizio per la denuncia di soprusi e già per questo ben vista da un vasto pubblico, ha approfittato della sua posizione di “difensore dei diritti del popolo” per caldeggiare tutte le più recenti battaglie di matrice radicale, dai matrimoni gay all’eutanasia.

Sulla morte di Stato si erano già scatenate polemiche non indifferenti nel corso di un servizio intitolato “così muore un italiano”  in cui, oltre a tentare di sdoganare l’eutanasia, le “iene” avevano “sciacallato” anche sul suicidio assistito in Svizzera di una signora anziana, all’apparenza in perfetta salute: una pillola accompagnata da un bicchiere d’acqua, un mazzo di fiori consegnato anzitempo e un sonno da cui la signora non si sarebbe mai più svegliata, il tutto condito dalla “amorevole cura” del boia del terzo millennio e ripreso minuto per minuto. Un servizio da far accapponare la pelle.

Qualche mese fa, poco prima della discussione della legge sul biotestamento alla camera, un nuovo intervento a gamba tesa: una intervista a DJ Fabo e alla sua compagna, un appello all’approvazione della legge, al nobile fine di evitare uno scomodo ultimo viaggio in Svizzera. Non si è indugiato neppure a mostrare a tutti una crisi respiratoria del ragazzo, in linea con il discutibile gusto che caratterizza alcuni servizi di questa trasmissione.

Eppure, nel momento clou, alla domanda “sei sicuro? perché vuoi farlo?” e di fronte alla risposta “perché la mia vita è diventata insopportabile”, anche l’intervistatore si arrende. Non può offrire quelle ovvie parole di conforto e di speranza che la natura umana ha in serbo per queste circostanze, perché vanificherebbe il fine del servizio; ma non se la sente di aggiungere più nulla, perché, evidentemente, persino alla “iena” è parso inopportuna l’esplicita approvazione di un suicidio, l’ammissione dell’assenza di valore di una vita umana al cospetto dell’interessato.

Simile epilogo toccò alla iena Viviani, dopo il colloquio con il paziente terminale, che, con rassegnazione e pacatezza, descriveva la propria condizione, considerandola quasi normale, una esperienza di vita, anche se molto probabilmente l’ultima. Significativo fu forse in questo caso anche il colloquio con l’infermiere di un hospital di lungodegenza, che spiegò chiaramente che il supporto al malato non deve concludersi con l’acuirsi della malattia, anzi, e che il fine vita richiede una gestione discreta e vissuta nell’ambito del rapporto di fiducia che deve crearsi fra medici, pazienti e parenti e non certo attraverso leggi da applicare meccanicamente su aspetti così delicati e soggettivi nella vita (e nella morte) dei malati.

L’ultima puntata andata in onda qualche giorno fa mostra invece l’altro lato di questa medaglia, quello di chi fomenta le coscienze, nel pieno disprezzo della legge corrente e persino di quella appena approvata. Nel corso del processo al radicale Marco Cappato, accusato di “istigazione al suicidio”, crimine di cui peraltro è orgoglioso reo confesso, è stata mostrata in aula la versione integrale dell’intervista delle iene. Anche Giulio Golia è stato chiamato a testimoniare. Un’evidente farsa nella quale non si capisce quale valore aggiunto abbia l’intervista, dal momento che nulla aggiunge e nulla toglie al fatto che Cappato abbia accompagnato DJ Fabo a morire, commettendo un reato. Lo stesso Cappato, chiamato a testimoniare, ha ammesso di aver ricevuto oltre 400 contatti di persone che chiedevano informazioni sulla procedura da seguire; insomma, una “istigazione al suicidio” seriale, su cui siamo tutti curiosi di ascoltare il giudizio e, soprattutto, le motivazioni.

Ma anche in questo caso, la sapiente “regia”, è proprio il caso di dirlo, è riuscita a spostare il centro della discussione da un ambito strettamente giuridico (la conferma o la smentita del chiaro capo d’accusa) ad un piano ideologico, sfruttando l’emotività suscitata da una intervista in cui l’unica cosa palese era la disperazione, il vuoto e la solitudine di un ragazzo che non riusciva più ad accettare se stesso.  Nulla, dunque, che andrebbe curato assecondando le richieste del malato, come decenni di psicologia dovrebbero averci insegnato.

Le scene dell’intervista sono state montate ad hoc, intervallandole con primissimi piani sugli occhi lucidi dei parenti, lo sguardo tutto sommato accondiscendente del giudice, gli abbracci fra la iena e la famiglia, tutti atti in sé certamente spontanei, ma strumentalizzati per trasformare Cappato in un martire.

La iena, al termine del video, ha detto che questa esperienza lo ha scosso profondamente. Non ci è dato sapere in che senso, né quali siano le conclusioni a cui è giunto. Abbiamo la conferma però che la questione del fine vita non può essere gestita in maniera superficiale, per raccattare qualche voto. Insomma non ci si può speculare sopra. Neppure le “iene” ci riescono.

E resta l’amara constatazione che trapela da tutto il servizio: se nessuno avesse mai propagandato la legittimazione della soppressione di un essere umano (a queste parole, orrendi ricordi riecheggiano probabilmente nella mente di molti), oggi DJ Fabo sarebbe ancora vivo e con un’adeguato percorso psicologico e affettivo probabilmente avrebbe superato la depressione e avrebbe trovato un senso alla sua nuova condizione, come miliardi di persone prima di lui, come dovrebbe fare ciascuno di noi.

Giuseppe Fortuna


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