13/10/2018

Papa, Gandolfini: «L’aborto crea una società fragile»

Continua il dibattito sulle parole pronunciate da Papa Francesco in difesa della  vita umana, per la difesa del bambino e per la migliore tutela della mamma. Papa Francesco nell’udienza generale del mercoledì in Piazza San Pietro ha  detto che l’aborto «è come affittare un sicario per risolvere un problema» e che «un approccio contraddittorio consente anche la soppressione della vita umana nel grembo materno in nome della salvaguardia di altri diritti. Ma come può essere terapeutico, civile, o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare?». Abbiamo intervistato al riguardo Massimo Gandolfini, medico neurochirurgo e psichiatra, oltre che leader del movimento del Family Day e presidente del comitato “Difendiamo i nostri figli”.

Professore, come giudica le parole di Papa Francesco in difesa della vita e contro l’ aborto?

«Credo che il Papa abbia usato il tono adeguato nei riguardi di un tema che è di una delicatezza enorme. Francesco ci ha abituati al coraggio, alla schiettezza, alla chiarezza, e in questo caso è stato coraggioso e schietto nel ribadire che l’ aborto porta all’uccisione di un bambino innocente ed indifeso quando è nell’utero della madre. Ha anche ribadito che parlare di distanze, come nel caso dell’ aborto terapeutico, è un’assurdità totale. Da medico dico che la terapia serve ad aiutare le persone, a guarirle, possibilmente a salvarle. C’è soltanto tanta ipocrisia nel voler legare il termine terapeutico ad un evento che provoca la morte. Il Papa ha quindi usato il tono giusto nel momento giusto, proprio quando si sta cercando di confondere le idee per favorire lo sviluppo di una cultura basato sul “tutto è possibile”».

Sappiamo che l’ aborto provoca dei traumi anche a livello psicologico per la madre. Lo conferma da medico? Ha vissuto dei casi diretti?

«Assolutamente sì, sono neurochirurgo e psichiatra e in quarant’anni di vita professionale, pur facendo soprattutto il medico, ho incontrato donne che nelle anamnesi raccontavano di aborti provocati e di interruzioni volontarie di gravidanza portandosi dietro questo trauma, questo senso di colpa. Badi bene che già l’ aborto spontaneo è un evento di sofferenza e di dolore indicibili pur essendo del tutto naturale, ma se a questo aggiungiamo anche la certezza di averlo provocato con una scelta consapevole, tutti quei disturbi che vanno dalla depressione, all’ansia, agli attacchi di panico, alle turbe del sonno ecc. rischiano di intensificarsi. Ormai non c’è quasi più nessuno al mondo che neghi l’insorgenza della sindrome post abortiva. Questa esiste in presenza di aborti spontanei, quindi non voluti, ma destinata a moltiplicarsi all’ennesima potenza quando l’ aborto è provocato volutamente»

Ma perché la società si ostina a legare l’ aborto alla libertà della donna?

«Perché c’è una chiara deriva antropologica in favore della morte. Purtroppo una politica totalmente schierata dalla parte della vita si è persa da qualche decennio. La cultura della morte ha come suo caposaldo proprio l’ aborto. Questo è uno degli elementi che crea una società fragile, continuamente ondivaga perché priva di valori cui appellarsi nei momenti difficili, una società debole capace di essere manovrata e manipolata da chi detiene il potere, soprattutto quello economico. Dietro l’ aborto non dimentichi c’è un fiorente business, e certamente queste posizioni di potere non si vogliono perdere in nessun modo. Questo spiega anche perché stiamo lavorando e continueremo a lavorare per far sì che della legge 194 non si applichi soltanto la parte legata all’eliminazione del bambino, ma anche quella collegata alla rimozione delle cause che determinano la tragica scelta da parte della madre. Il fatto di Verona ha fatto cadere il velo dell’ipocrisia perché, se davvero l’ aborto fosse considerato per quello che è, ossia un atto di violenza su di un bambino innocente ed indifeso, una società civile dovrebbe fare di tutto per cercare di evitare il ricorso ad un evento del genere. La 194 va dunque finanziata con risorse atte a garantire alla madre di portare a termine la gravidanza, aiutarla nell’allattamento e garantirle un mantenimento almeno fino al secondo anno di vita del piccolo. Se il voler stanziare dei soldi per salvare un bambino viene trasformato in una lotta ideologica contro il principio di autodeterminazione della donna, allora questa è la migliore dimostrazione di come, dietro tutto questo, vi sia una mentalità contro la vita».

Che tipo di appello si sente di lanciare al governo, dove per altro c’è un ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, molto sensibile a questi temi?

«Stiamo lavorando molto e c’è una grande sintonia, non soltanto con il ministro Fontana ma anche con il ministro dell’Interno Matteo Salvini. Una sintonia che però va oltre questa maggioranza e coinvolge anche forze dell’opposizione come Fratelli d’Italia e alcuni parlamentari di Forza Italia. Abbiamo costituito due gruppi di lavoro. Il primo lo abbiamo chiamato “Intergruppo parlamentare per la Famiglia e per la Vita”, mentre il secondo è composto da amministratori locali, sindaci, assessori e consiglieri di tutti i Comuni italiani. Lo scopo è quello di favorire lo sviluppo di politiche  di incentivazione della natalità e rivolte a scoraggiare la pratica dell’ aborto. L’appello è quello di lavorare tutti insieme, perché se salviamo un bambino non ci perde nessuno e ci guadagnano tutti, il piccolo salvato, la mamma e l’intera collettività. Giovanni Paolo II nell’Evangelium Vitae ci ricorda che quando un bimbo viene ucciso nel grembo materno sono tre le vittime: il bambino che non vede la luce, la mamma che ha voluto l’ aborto e la società che non è stata in grado di fare nulla per aiutare quella donna ad uscire dal dramma esistenziale che stava vivendo e che l’ha portata a compiere un gesto così estremo».

Americo Mascarucci

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