17/10/2015

Omofobia è malattia, eterofobia cosa sana, buona e giusta

È da un po’ che sul web girano blog e post che descrivono l’omofobia come una malattia. In linea – peraltro – con il processo descritto dalle finestre di Overton.

Vediamo qual è la base “scientifica” di queste asserzioni.

Pensate che a questo mondo le leggi di natura siano ancora in vigore? Non vi siete ancora arresi all’invadenza del politicamente corretto in tema di sessualità? Ebbene, sappiate che secondo la “scienza” moderna siete portatori di un disturbo mentale.

Lo assicurano alcuni scienziati italiani tra cui spiccano i nomi di A. Siracusano, direttore dell’UOC di psichiatria e psicologia clinica dell’Università di Roma Tor Vergata, A. Lenzi, presidente del Consiglio Universitario Nazionale (CUN) e Jannini E.A., professore di sessuologia medica all’Università dell’Aquila.

Che cosa hanno scoperto gli illustri scienziati? Che il comportamento omofobico è un atteggiamento negativo nei confronti degli omosessuali ed è sintomo di un disturbo mentale.

Lo studio effettuato ha preso in esame 551 studenti dell’Università dell’Aquila di età compresa tra i 18 e i 30 anni ai quali è stato chiesto di compilare svariate valutazioni psicometriche.

La suddetta psicopatologia risulta molto diffusa tra gli studenti dell’Aquila...

Per individuare i sintomi psicopatologici è stata utilizzata la scala per l’omofobia (HS), e altre scale ritenute utili allo scopo.

Dopo aver analizzato attentamente i risultati è emerso che nel campione preso in esame esiste un valore predittivo significativo di disturbo mentale nei soggetti omofobici, fenomeno che è presente maggiormente nei soggetti maschi rispetto alle femmine.

Nelle conclusioni del loro lavoro, gli scienziati affermano di essere riusciti a dimostrare l’esistenza di un non meglio identificato “psicoticismo”, oltre che la presenza di meccanismi di difesa immaturi, nei soggetti affetti da omofobia. Mentre meccanismi di difesa nevrotici e disturbi depressivi, sempre secondo lo studio in esame, sembrano giocare un ruolo contrastante, anche se non è chiarissimo cosa ciò stia a significare.

Gli autori concludono affermando che dallo studio effettuato se ne può dedurre come “nel valutare l’omofobia e nei rilevanti programmi di prevenzione, sia necessario prendere in considerazione gli aspetti psicopatologici emersi dallo studio”.

Sorge spontanea una domanda: vedremo riaprirsi le residenze manicomiali per quanti non si affrettano a sposare l’ideologia del nuovo mondo?

La Rosa Bianca

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