25/09/2018

RAI e regione Puglia – La vita di Mario Mieli quanto ci costa?

La Rai ha dedicato un film a quello che potremmo definire il “padre” del movimento omosessualista italiano, Mario Mieli, fondatore del collettivo F.U.O.R.I. (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano), che nel 1974 divenne un’appendice del Partito Radicale, e la cui vita fu a dir poco controversa.

Tra le sue esperienze meno “originali” la detenzione e il ricovero in una clinica psichiatrica.

Le riprese del film Gli anni amari, che ne racconta le vicende alquanto “singolari”, sono cominciate in agosto.

Ancora più “singolare” è la motivazione per cui la produzione Rai ha ricevuto fiumi di finanziamenti pubblici, ovvero la “particolare qualità artistica” della pellicola. Deve trattarsi di un capolavoro come mai ne sono comparsi né sul grande né sul piccolo schermo, se ha meritato ben 150.000 euro dal Ministero dei beni culturali e altri 105.000 dalla Regione Emilia Romagna.

Una profusione di fondi notevole, degno della celebrazione di un eroe nazionale. Ma chi era davvero Mario Mieli?

La sua vita e le sue opere parlano per lui: per approfonfire si può cliccare qui, qui, qui.
Nato nel 1952 a Milano, respirò a pieni polmoni il clima culturale degli anni Sessanta, pregno di marxismo, orientalismo e omosessualismo.
Sin dai tempi del liceo condusse una vita tutt’altro che “ordinaria”, passando ogni notte a prostituirsi sotto il ponte della “Fossa” di Milano, come ricorda nella sua autobiografia Il risveglio dei Faraoni, in cui ammette anche di essere arrivato a tentare di uccidere suo padre. La sua fragile esistenza, caratterizzata, secondo il quotidiano La Repubblica, dalla «gioia di vivere», terminò tragicamente con il gesto estremo del suicidio, prima ancora di compiere 31 anni.

Tuttavia ci ha lasciato in eredità il meglio del suo pensiero raccolto in Elementi di critica omosessuale, una rielaborazione della sua tesi di laurea, pubblicata nel 1977.
Lì si scaglia con forza contro la famiglia, accusata di “castrare” più che di educare i bambini indirizzando e mortificando, con l’educazione, le loro pulsioni sessuali. Mentre la “liberazione sessuale” dei bambini verrebbe dalle cosiddette “checche rivoluzionarie“, tra le quali rientrerebbe lui stesso, come afferma nell’opera in questione. E quale sarebbe il compito di tali “checche rivoluzionarie”? Ci risponde Mieli: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino […] l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. […]. La pederastia […] è una freccia di libido scagliata contro il feto».

Insomma, siamo di fronte ad un vero e proprio inno alla pedofilia, che Mieli esaltò insieme alla coprofagia e ad altre pratiche che potremmo definire piuttosto “sopra le righe” (non vorremmo essere accusati di diffamazione, come Silvana De Mari, che anche lo scorso lunedì 17 settembre è stata zittita da Lilli Gruber durante il programma Otto e Mezzo semplicemente perché ha affermato le cose che stiamo ora riportando in questo articolo. Ad ogni modo, per ora la De Mari è stata rinviata a giudizio per avere detto ciò che diceva e scriveva Mieli: il circolo intitolato al suo nome si è mai dissociato dalle posizioni ideologiche del padre fondatore? Non ci risulta. Ci risulta invece che riceva finanziamenti pubblici e che sia accreditato per entrare nelle scuole per insegnare ai nostri ragazzi…).

Dunque, per quali qualità artistiche, morali, etiche, pedagogiche si sarebbe distinto quello che è diventato il protagonista di un film Rai stra-finanziato? Cosa della sua tormentata vita giustificherebbe l’impiego di tante forze e mezzi? E in che cosa consisterebbe la “qualità artistica” di questa pellicola?

Verrebbe da chiederlo anche all’Apulia commission che ne ha sostenuto a tal punto i costi di produzione da attingere, per l’occasione, al Fondo Europeo per lo sviluppo regionale. L’Apulia, come si legge sul loro sito, è una fondazione che «finanzia progetti trasversali realizzati grazie alle politiche culturali della Regione Puglia» e annovera tra i suoi soci 33 Province e Comuni pugliesi, tra cui il Comune di Bari e la Regione Puglia, appunto, che non certo per la prima volta hanno profuso denaro pubblico per finanziare iniziative di stampo LGBTI.

Tanto per incominciare, da quando il Comune di Bari e la Regione Puglia sono entrate nella Rete Ready (2012 e 2015), si sono moltiplicate a livello esponenziale le iniziative finalizzate a veicolare il pensiero e le politiche LGBTI, attingendo a fondi pubblici. A cominciare dall’istituzione di un tavolo LGBTI all’interno del Comune stesso. L’elenco delle iniziative sarebbe lunghissimo, ma è il caso di citare solo le più eclatanti per rendere l’idea del clima da “colonizzazione ideologica” in cui da un po’ di tempo è immersa la Puglia co-finanziatrice della pellicola in questione. Innanzitutto va ricordata la somministrazione, nel 2014, di un questionario tra i dipendenti di diversi uffici comunali del capoluogo pugliese per verificare il loro “livello di omofobia”; non si contano, dal 2012 in poi, i “corsi” obbligatori, rivolti agli insegnanti per introdurli alle “teorie di genere”, con lezioni pomeridiane frontali a frequenza obbligatoria. Ricordiamo l’iniziativa dello scorso anno appena: ben 4 giorni di “formazione” a tappeto, da 6 ore ognuna, sulla tematica del gender, che hanno riguardato insegnanti di asili nido e scuole dell’infanzia, addetti dell’Ufficio pubbliche relazioni, assistenti sociali e persino il comando della polizia municipale di Bari. Un progetto realizzato, manco a dirlo, col tavolo LGBTI del Comune di Bari e l’Università e che è stato finanziato con ben 80.000 euro di fondi forniti dal Comune. Impossibile elencare tutti gli altri numerosi progetti ispirati al gender, in questa sede. Concludiamo ricordando il Puglia Pride, che ogni anno è patrocinato dalla Regione e che l’anno scorso ha toccato l’apice della discutibilità con l’episodio, avvenuto a Bari, della profanazione della statua di san Nicola, nel piazzale antistante la Basilica, travestito da... attivista LGBTI. Gesto dal quale né il sindaco Decaro, né il presidente della Regione Emiliano si sono dissociati, preoccupati solo di apparire tra le prime fila del corteo “colorato”.

Insomma, anche alla luce dei denari spesi dalla Rai e dalla Puglia per il finanziamento del film su Mieli, è possibile capire che il supporto non simbolico fornito alla produzione della pellicola in questione, non è che l’esito “coerente” di una serie di politiche e “azioni culturali” da cui siamo travolti oggi, che si preoccupano ben poco di diffondere il “profumo delle virtù” perché, probabilmente, al contrario, “pecunia non olet“.

Manuela Antonacci

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