25/03/2014

Roma, le dicono che il feto è morto ma non abortisce e nasce un figlio sano

Questa dovrebbe essere una bella notizia: un bambino sopravvissuto ad un apparente problema in fase di gestazione. Ma, dopo aver gioito per la nascita del piccolo, abbiamo l’obbligo di ragionare sulle ragioni che hanno portato a rendere questa una notizia di cronaca.

La leggerezza, superficialità criminale di alcuni medici poteva essere causa dell’uccisione di un bambino. E chissà di quanti altri. Leggiamo ora il caso riportato dal quotidiano Il Messaggero

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Per i medici del Pronto soccorso del San Giovanni Calibita Fatebenefratelli, non restava che la via dell’aborto terapeutico: il feto per loro era morto, il cuoricino non batteva, l’ecografia era piatta. Ed invece quel bimbo è nato in perfetta salute, nello stesso ospedale. Oggi ha tre mesi e mezzo. Ma tutto ciò è stato possibile solo grazie alla testardaggine della giovane madre che quel giorno non si è voluta fidare della diagnosi dei medici del pronto soccorso. Oggi chiede giustizia e, visto che il reato di tentato omicidio colposo non può essere contestato, ha deciso di puntare al risarcimento dei danni morali: «Non si può precludere la vita di un bimbo innocente per una superficialità» chiarisce, assistita dall’avvocato Pietro Nicotera, che per lei ha indirizzato all’ospedale la lettera con cui preannuncia l’azione legale.

DIAGNOSI ERRATA
La mamma che ha salvato la gravidanza grazie al suo istinto si chiama Maria S., abita all’Eur ed ha un altro figlio, una bambina di due anni. Il 4 aprile del 2013 si era presentata al pronto soccorso di ginecologia dell’ospedale sull’Isola Tiberina perché preoccupata dalla comparsa di perdite ematiche. Temeva che quel segno potesse significare la fine della gravidanza appena cominciata. «Signora, ha avuto un aborto interno» le dice una dottoressa «Non c’è traccia del battito in ecografia. E anche se alle prime settimane di gravidanza, alla quinta bisognerà procedere col raschiamento. Consigliamo il ricovero. Se vuole lo disponiamo subito». Maria S., invece, preferisce andar via.

Ha una gran voglia di piangere, il marito e la bimba l’aspettano a casa, non se la sente all’istante di dire addio al puntino che cresce in lei e neanche di finire subito sotto i ferri. Su suggerimento della dottoressa, decide, in alternativa all’intervento, di assumere un farmaco per provocare l’espulsione e torna a casa. Il tutto viene sintetizzato sul verbale di pronto soccorso. La paziente «entra alle 11.06 ed esce alle 15.44». «Diagnosi: aborto interno. Informata sul decorso clinico della terapia, la paziente decide il trattamento con Methergin cpr». La mamma, spinta dal fiuto, compra il farmaco ma non lo assume. Anzi il giorno dopo, di buon’ora, si fa visitare dal suo medico di base, all’Eur, specializzato in ginecologia. «Quel giudizio al pronto soccorso di ostetricia del Fatebenefratelli, nonostante le analisi e l’ecografia, mi era sembrato troppo frettoloso – racconta – quindi la sera, a casa, ho messo subito via il Methergin, e ho cominciato a cercare informazioni su internet dove ho trovato la conferma di quanto avevo già intuito, ossia che non sempre il battito degli embrioni è individuabile alla quinta settimana. Meglio aspettare quindi per farmaci e ferri. Io il mio bambino, anche se la gravidanza non era stata pianificata, lo volevo». Il medico di base conferma la bontà della sua decisione. «E’ vero il battito non c’è, ma la gravidanza è appena cominciata» si sente rispondere Maria S. l’indomani dalla sua dottoressa. «Aspettiamo una settimana per capire se c’è stato o meno l’aborto interno». Qualche giorno dopo una ecografia scioglie ogni dubbio: l’embrione è vivo e cresce. La diagnosi elaborata al pronto soccorso era errata.

LA TESTIMONIANZA
«Il mio bambino è nato il 2 dicembre del 2013», racconta ora Maria. «Pesava tre chili e mezzo. Ho avuto una gravidanza e un parto naturale sereno. E ogni volta che mi soffermo a guardare il mio piccolo mi rendo conto del pericolo scampato. Se non avessi seguito il mio istinto sarei stata io stessa la carnefice di mio figlio. Ecco perché sono sempre stata convinta che un’azione legale fosse un’iniziativa non solo giusta, ma doverosa. Nei pronto soccorso il personale deve essere altamente qualificato. Non si può sbagliare con la vita».

di Adelaide Pierucci

Festini

 

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