11/02/2015

Trentino e DDL omofobia: chi di gender ferisce di gender perisce

L’ideologia gender insegna che i generi sono infiniti (ne sono stati individuati sinora una sessantina, mi pare).

E allora, quando si parla di “parità fra i generi” e “non discriminazione”, per favore, si smetta di considerare solo la parità fra uomo e donna.

Questo il ragionamento stringente di Rodolfo Borga: uno dei consiglieri che si è adoperato, combattendo valorosamente, per fermare il disegno di legge contro l’omofobia alla Provincia di Trento: è stato rimandato a luglio.

Ora si sposta la discussione al Consiglio Regionale.

Alla Regione, infatti, si sta discutendo un disegno di legge elettorale, che vorrebbe – con le “quote rosa” – imporre all’elettore di dare la preferenza a un maschio e una femmina (non due maschi, ma neanche due femmine) con evidente illogico detrimento per la meritocrazia: un politico va votato per le sue idee e le sue capacità, non per il suo sesso/genere!

Inoltre, se i ragionamenti della maggioranza che vuole il ddl contro l’omofobia fossero coerenti e in buona fede, il progetto di legge in questione, per porre rimedio ad una “discriminazione”, ne trascura un’altra, non sappiamo se per ignavia, ignoranza od incapacità e/o impossibilità di trovare una soluzione... 

Riportiamo integralmente il testo dell’intervento di Borga. Potrebbe ispirare altri legislatori che avessero davvero a cuore l’uguaglianza e la non discriminazione tra i cittadini, le cittadine e i cittadin*. 

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Il disegno di legge in esame si propone l’obiettivo di riequilibrare la presenza di genere nei consigli comunali della Provincia autonoma di Trento. A tal fine prevede espressamente che “Se l’elettore esprime più di un voto di preferenza la seconda preferenza deve essere espressa per un candidato di genere diverso rispetto al primo. In caso contrario la seconda preferenza viene annullata”.

Singolare la circostanza per cui tale importante novità la maggioranza di centrosinistra sedicente autonomista vuole riservare al solo Trentino, privando così l’Alto Adige Sudtirol di una conquista di civiltà di tale portata. Un comportamento francamente incomprensibile, che non vorremmo trovasse origine nella volontà di PATT, UAL, UPT e PD del Trentino di ostacolare in qualche modo la crescita culturale, sociale, economica e morale degli amici altoatesini/sudtirolesi. Ma a prescindere dalle ragioni di tale singolare scelta, deve rilevarsi come il disegno di legge in esame introduca, probabilmente al di là delle intenzioni delle firmatarie, una novità che, pur dichiaratamente finalizzata a porre rimedio ad una situazione discriminatoria, potrebbe essere ritenuta da qualcuno essa stessa discriminatoria.

E non poco! Se, infatti, il testo normativo parla di “genere” senza alcuna specificazione, la relazione chiarisce invece che i “generi” di cui il ddl si occupa sono solo ed esclusivamente quello maschile e quello femminile. Cosa normale potrebbe dire qualcuno. Le cose però forse non stanno proprio così. Quantomeno secondo le stesse firmatarie del disegno di legge in esame, che stanno sostenendo nel Consiglio provinciale di Trento con grande impegno e passione un disegno di legge promosso da Arcigay, Arcilesbica ed altre analoghe associazioni ove il tema del genere è ampiamente trattato e che per la sua importanza si ritiene opportuno riportare integralmente, anche per consentire ai colleghi altoatesini e sudtirolesi di approfondire nella dovuta maniera un tema così delicato, la cui importanza siamo certi non è sfuggita ai membri di questa assemblea legislativa.

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Come abbiamo potuto apprendere, a giudizio dei sostenitori del disegno di legge testé riportato, l’identità di genere è la “percezione di sé come maschio o come femmina o in una condizione non definita”. Omettendo di riportare alcune ulteriori definizioni, che ad avviso dei proponenti non rilevano in questa sede, osserviamo invece come per transgender il disegno di legge in questione proponga la seguente definizione: “persona che non si riconosce nei modelli correnti di identità e di ruolo di genere, ritenendoli non pienamente rappresentativi della propria esperienza”. In buona sostanza, a quanto è dato comprendere, i fautori di questo disegno di legge sostengono che i sessi biologici non esistono, che la distinzione tra uomo e donna, basata sull’appartenenza ad uno dei due sessi esistenti in natura, non è determinata dalla natura medesima, ma da condizionamenti culturali assai risalenti nel tempo e che, soprattutto, il concetto di genere, contrariamente a quanto ritengono i più, tutt’ora ancorati al concetto ormai obsoleto di sesso biologico, va ben al di là dell’usurata distinzione tra uomo e donna, per spaziare nel potenzialmente infinito, e per definizione indefinibile (si veda l’art. 2 del disegno di legge in questione), spazio della “percezione che ognuno ha di sé”.

Percezione, che, come abbiamo visto, non è certo limitata all’usurata distinzione uomo/donna, ma da essa prescinde, per abbracciare ogni possibile non predefinibile condizione che ogni essere umano (aggettivo che, a scanso d’equivoci, non vuole essere limitato a donne ed uomini) possa avere di sé: uomo, donna o, riproponiamo testualmente la previsione normativa, “condizione” non definita. D’altra parte è del tutto evidente che non è logicamente possibile predefinire coloro che “non si riconoscono nei correnti modelli d’identità e di ruolo di genere, ritenendoli non pienamente rappresentativi della propria esperienza”. Se neppure costoro si riconoscono nella loro personale esperienza, ritenendola non pienamente rappresentativa, come possiamo noi legislatori, provinciali e/o regionali, pretendere di costringere chicchessia in un angusto recinto, che pur rispondendo a certamente oggettivi dati di realtà, rischia di essere vissuto come un’inammissibile discriminazione, un’inaccettabile costrizione, un’insopportabile coercizione?

Ed invece il disegno di legge regionale di cui oggi discutiamo tutto questo interessante dibattito sembra ignorare, atteso che nella sua relazione chiarisce che i generi di cui si parla, tra i quali le preferenze dovrebbero essere necessariamente ed equamente distribuite, sono solo ed esclusivamente quello maschile e quello femminile; ammesso, e non concesso, che tale tardo-medioevale distinzione abbia ancora un qualche significato in una democrazia avanzata, europea, renzianpascaliana e globale come la nostra.

Pare, pertanto, del tutto evidente ai proponenti, che l’impostazione del disegno di legge debba essere radicalmente rivista nel senso di estendere l’invocata, auspicata, anelata, ricercata e doverosa parità ad ogni possibile genere. Ove così non fosse, altro non faremmo che aggiungere discriminazione alla discriminazione. Con l’aggravante, in verità particolarmente riprovevole, censurabile, disdicevole, deprecabile, criticabile, intollerabile, che tale discriminazione vedrebbe come principali responsabili, in quanto firmatarie del disegno di legge in esame, proprio coloro che nel Consiglio provinciale di Trento sono tra i più accaniti sostenitori del disegno di legge formalmente finalizzato a combattere l’omofobia.

Non ci pare però corretto, nell’invocare la radicale rivisitazione del disegno di legge in esame, nascondere le difficoltà di carattere logico-giuridico cui l’applicazione della teoria del genere alla materia elettorale potrebbe determinare. Tanto, infatti, risulta essere naturale (ammesso e non concesso, che il concetto stesso di natura possa salvarsi dalla furia distruttrice dei sostenitori della teoria gender) voler l’applicazione anche alla legge elettorale la totale parità tra tutti i generi possibili, quanto poi risulta essere nient’affatto agevole per il legislatore tradurre in leggi, articoli, commi e capoversi tale ferrea volontà : e noi, più o meno consapevoli dell’importanza del nostro alto ruolo, più o meno preparati al gravoso compito cui gli elettori ci hanno chiamati, meritatamente od immeritatamente (ma comunque su nostra sollecitazione), più o meno entusiasti di frequentare quest’aula prestigiosa (ma comunque anche per questo pagati), legislatori siamo. Difficile compito dunque quello di tradurre in norme giuridiche destinate ad operare nella materia elettorale la teoria del genere. Difficile, se non impossibile.

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Quando, infatti, ci si pone il dichiarato obiettivo di dare una rappresentanza paritaria di tutti i generi, si deve essere consapevoli che la concreta applicazione della teoria del genere, di cui disegno di legge in discussione in Consiglio provinciale, che sopra abbiamo integralmente riportato, costituisce una lodevole trasposizione normativa. Diversamente si rischierebbe concretamente il rischio di cadere nel velleitarismo, atteggiamento tipico di chi ha aspirazioni e programmi ambiziosi, ma infondati, vaghi, irrealizzabili. E valga il vero! Come sopra abbiamo appreso, l’identità di genere non può essere in alcun modo predefinita. Essa, infatti, consiste “nella percezione di sé come maschio o come femmina o in una condizione non definita”. Trattasi, pertanto, di condizione svincolata da dati oggettivi, quali sono il sesso biologico d’appartenenza, rimessa in buona sostanza a percezioni del tutto soggettive, in quanto tali evidentemente non codificabili. Peraltro, questa concezione, che taluno potrebbe, a torto od a ragione, ritenere bizzarra, singolare, un po’astrusa, sibillina, oscura, inesplicabile, enigmatica od altro (ovviamente non definito, né definibile), è in realtà la logica (ammesso, ed ovviamente non concesso, che di logica possa parlarsi quando ci sia avventura a trattare la teoria gender) conseguenza di una teoria che non si limita a stravolgere la realtà, ma nega alla radice l’esistenza stessa di una realtà oggettiva, prefigurando un mondo ove non esistono elementi oggettivi di cui prendere atto, su cui sviluppare ragionamenti, filosofie, approfondimenti, un mondo in cui tutto è opinabile, un mondo in cui non esistono vero né falso, un mondo in cui, in ultima analisi, non esistono né bene, né male ed in cui, pertanto, tutto è possibile, è lecito, è “legiferabile”. Specie quando a legiferare sono politici più interessati al futuro proprio, che non a quello della loro Comunità.

Ma se l’identità di genere non è in alcun modo predefinibile, in quanto frutto del tutto soggettivo della percezione che ognuno ha di sé, a prescindere da qualsivoglia collegamento con oggettivi dati di realtà, quali l’appartenenza ad uno dei due sessi esistenti in natura, essa non può neppure essere in qualche modo codificabile. Da quanto sopra deriva la materiale impossibilità d’individuare tutte le identità di genere tra le quali distribuire le preferenze che l’elettore sarà chiamato ad esprimere. Qualcuno, che magari conosce soltanto superficialmente la teoria gender, potrebbe pensare di cavarsela inserendo altre tre o quattro preferenze destinate, ad esempio, ai transessuali, agli omosessuali, bisessuali, pansessuali, crossdressing, drag queen o king. Sarebbe soluzione vana, per quanto lodevole nelle intenzioni. I generi sono, infatti, per definizione infiniti e quindi non possono essere determinati a priori. Ecco allora che emerge con tutta evidenza l’insanabile contraddizione in cui incorre il disegno di legge in discussione, che da un lato vorrebbe porre rimedio ad una discriminazione, dall’altro ne trascura un’altra, non sappiamo se per ignavia, ignoranza od incapacità e/o impossibilità di trovare una soluzione.

Quid iuris, allora? Risposta non facile, meglio impossibile. Non sarà infatti sufficiente modificare la relazione, chiarendo che i generi di cui all’articolo 1 del disegno di legge non sono quello maschile e quello femminile, ma qualsiasi genere passi per la testa di qualsiasi persona. Certo questo è un passaggio necessario, ma, come dicevo, altrettanto certamente non sufficiente. Chi, infatti, sostiene la teoria gender avrebbe buon gioco a rilevare come, essendo i generi potenzialmente infiniti, risulta essere largamente insufficiente il generico riferimento a più generi diversi da quello maschile e femminile. Ciò è senz’altro vero, ma d’altra non possiamo neppure negare l’evidenza, anche se a negare l’esistenza di una realtà oggettiva è proprio la teoria gender. Non possiamo cioè negare le difficoltà oggettive che anche il legislatore più avveduto, preparato, esperto inevitabilmente incontra nel codificare tutti i generi possibili. D’altra parte che ciò lo si debba fare è del tutto evidente: quand’anche soltanto uno dei possibili generi sfuggisse alla codificazione si verificherebbe infatti un’inaccettabile discriminazione.

Che fare, allora, per riprendere il celebre interrogativo del compagno Lenin, al cui nefasto operato ben possiamo ricondurre, secondo i meglio informati, anche la teoria gender, atteso la politica di chiara avversione nei confronti della famiglia naturale operata praticata dal comunismo fin dalle sue origini?

Un compito oggettivamente (per usare un aggettivo che, ne siamo consapevoli, ai sostenitori dell’ideologia gender piace poco) arduo, che ad avviso dei proponenti noi consiglieri regionali ben difficilmente saremo in grado di risolvere. Ecco allora la nostra proposta. La Giunta convinca le colleghe firmatarie del disegno di legge a sospenderne l’esame ed a riportarlo in commissione. Quindi istituisca un comitato di saggi ed esperti (tra i quali ci permettiamo di segnalare il nome del signor Vladimiro Guadagno, in arte Luxuria) con il compito di approfondire le tematiche connesse alla concreta applicazione della teoria gender alla nostra legge elettorale. Infine, trovata, ammesso sia possibile, la soluzione, si torni in aula con un disegno di legge che finalmente risolva una volta per tutte il problema.

Rodolfo Borga

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