25/04/2019

Universitari per la Vita: si punta sulla formazione

Uno dei frutti più belli maturati nei sette anni di Marcia per la Vita italiana sono senz’altro gli Universitari per la Vita, che incontreremo naturalmente anche alla prossima Marcia del 18 maggio (ritrovo ore 14.00 a piazza della Repubblica). Portare le istanze pro life all’interno degli atenei, specie se laici, è un’impresa quantomeno impegnativa. A livello burocratico-istituzionale, gli impedimenti sono notevoli, mentre tra gli studenti si trova di tutto: da quelli ostili ai limiti della violenza a quelli disponibili al dialogo. Ostacoli che non spengono l’entusiasmo di questi giovani pro life, il cui obiettivo attuale è quello di affiancare la formazione all’informazione. A colloquio con Pro Vita & Famiglia, Chiara Chiessi, ventiquattrenne romana, fondatrice e portavoce degli Universitari per la Vita, ha illustrato le attività del suo gruppo.

Come siete nati e quali sono le vostre principali attività?

«Come associazione siamo nati in occasione della Marcia per la Vita del 2016. Partecipando alla Marcia, mi ero accorta che erano presenti molti gruppi professionali: medici per la vita, infermieri per la vita, ecc. ma mancavano gli studenti e i giovani. Ho avuto allora questa idea e siamo partiti in maniera molto informale, prima a Roma Tre, poi in altre università anche fuori Roma. La nostra attività principale sono gli aperitivi che organizziamo nei locali universitari, con l’autorizzazione dei rettori: offrendo agli studenti dei piccoli snack, in un’atmosfera amichevole, l’approccio migliora, ci si confronta e noi mostriamo i nostri volantini e le nostre attività, assieme ai riscontri scientifici sull’umanità dell’embrione. Spesso portiamo anche i “fetini” di Pro Vita, che sono stati distribuiti al Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona. Essendo universitari, siamo attivi per lo più in base ai periodi in cui non ci sono esami, altrimenti ci concentriamo su attività come cene per le raccolte fondi».

Che reazioni suscita la vostra presenza?

«Le reazioni sono le più disparate, un paio di volte alla Sapienza abbiamo subito anche aggressioni violente, comunque, in genere non abbiamo particolari problemi, se non fosse che spesso non ci viene dato il permesso di entrare nelle università. A questo proposito stiamo fissando un appuntamento con il Ministro Bussetti proprio per riferire della difficoltà che stiamo avendo nel manifestare le nostre idee. Nelle università pontificie, ovviamente, è più facile approcciarci, essendoci una formazione cristiana alla base. Vediamo comunque che, dall’altra parte, il messaggio viene recepito, attiriamo per la testimonianza che offriamo e questo aspetto è molto buono. Persone dalle idee molto diverse dalle nostre rimangono colpite, vedendo ragazzi di 20-22 anni che spendono il loro tempo distribuendo volantini e altro materiale: questo affiatamento fa pensare a noi in positivo».

Qual è, a tuo avviso, il metodo migliore per parlare di diritto alla vita a chi non la pensa come voi?

«Bisogna essere sicuramente spontanei, gli altri studenti non amano vedere troppa organizzazione e formalità. È importante parlare in maniera molto tranquilla, ascoltando il pensiero dell’altro, cercando di capire che posizione ha. C’è chi è favorevole all’aborto in ogni caso (abbiamo incontrato qualcuno addirittura favorevole all’infanticidio nei primi due mesi), poi ci sono quelli che sono contrari all’aborto, eccetto che nei casi di stupro, quindi, conoscendo l’opinione dell’altro, si può lavorare meglio. Noi utilizziamo la tecnica della “maieutica” socratica: cerchiamo innanzitutto di rendere partecipe l’altro. Se lui ci dice, ad esempio, che l’embrione non è essere umano, gli chiediamo quali dovrebbero essere le caratteristiche di un essere umano. Allora gli chiediamo perché l’embrione non può essere umano o, se lo è, perché non può essere una persona. Così si riesce a tirare fuori la verità. Spesso citiamo le testimonianze: da Nathanson, a Gianna Jessen, a tutti i sopravvissuti all’aborto. Menzioniamo anche personaggi influenti come Pasolini che magari hanno un pensiero diverso dal nostro ma, nonostante questo, sono pro life».

Oltre all’aborto, state approfondendo altre tematiche pro life?

«Sull’utero in affitto abbiamo pubblicato vari articoli sul nostro sito ma il nostro argomento centrale rimane l’aborto. Parlando con gli studenti, le discussioni spesso toccano anche tematiche come la famiglia omogenitoriale, la fecondazione artificiale o l’utero in affitto, essendo tutte strettamente collegate tra loro. Quello su cui punteremo sarà la formazione: dobbiamo sapere bene cosa rispondere alle persone, agli studenti, perché, in un certo senso, partiamo svantaggiati. Le idee di cui siamo portavoce non sono politically correct, quindi ci attaccano. Se non sappiamo portare argomentazioni valide non possiamo essere credibili».

Ci sono personalità di spicco dell’attivismo pro life che vi stanno aiutando nella formazione?

«Abbiamo fatto lezioni con il magistrato Giacomo Rocchi, che tra un po’ farà un convegno alla Lumsa. Poi vorremmo organizzare una lezione col professor Giuseppe Noia. Abbiamo anche fatto stampare un libretto da far circolare all’università con scritti di Rocchi, Noia e altri. Nella pubblicazione abbiamo inserito un articolo di Rocchi sull’eutanasia, ripreso dal sito del Comitato Verità e Vita: è risultato molto efficace. Già questo è un ottimo strumento per fare formazione interna. Ci sono anche testimonianze di studenti di altre città che si sono uniti a noi e che raccontano perché l’hanno fatto».

Luca Marcolivio

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