11/04/2018

Aborto – Mostrare la verità è una cattiveria?

Torniamo a parlare del maxi manifesto sull’aborto (poi censurato) promosso da ProVita e che è stato accompagnato da tante polemiche, ma anche da tanti segnali di sostegno.

Sul web e sui social una delle critiche più frequenti è stata rispetto alla presunta mancanza di rispetto nei confronti delle donne che hanno abortito. Il concetto si potrebbe riassumere con questa frase: «L’aborto non è mai una scelta leggera, magari non c’erano alternative [cosa non vera: ogni azione è migliore di un omicidio, ndR], perché rimarcare il gesto a una donna che già a sofferto e sta soffrendo?».

Ebbene, anche se a livello emozionale si potrebbe rimanere in un primo momento interdetti di fronte a un’obiezione di questo tipo, la questione è molto chiara e – di fatto – già contenuta nella stessa affermazione che vorrebbe contestare l’azione di ProVita. In che modo? Laddove si dice che l’aborto si porta dietro uno strascico di sofferenza interiore che, se non si fa un cammino di presa di coscienza, attanaglia la mamma del piccolo innocente (così come il padre, gli altri parenti e conoscenti e gli operatori sanitari) per tutta la vita.

Ecco quindi che l’azione di ProVita si conferma nella sua positività e incisività: viviamo in un mondo che vorrebbe mettere a tacere la coscienza, annullando – in nome del relativismo – i concetti di Bene e di Male (e l’aborto è un male assoluto, non relativo). Tuttavia, ognuno ha dentro di sé la consapevolezza questa divisione: non siamo degli animali, siamo persone. Anche se lo neghiamo o non siamo allenati a percepirlo, nel nostro intimo sappiamo cosa è buono e cosa non lo è. Il manifesto sull’aborto promosso di ProVita voleva “risvegliare le coscienze”, far prendere consapevolezza della realtà, riportare alla luce quanto ognuno ha dentro.

In tal senso, quindi, il maxi manifesto sull’aborto non è contro le donne che hanno abortito, bensì gioca – soprattutto – in loro favore. Infatti, solo prendendo coscienza del gesto compiuto, solo stando di fronte alla verità, si può cominciare a lavorarci: dal dare un nome al proprio bambino ad arrivare a perdonarsi.

Naturalmente nessuno sta dicendo che si tratti di un percorso “facile e indolore”. Ma negando tutto, non mostrando la realtà bensì nascondendo “la polvere sotto il tappeto”, non si risolve nulla. Anzi, si rimane tutta la vita incatenati a un dolore che non trova ascolto e risposta. È veramente questo che, da donne, vogliamo per altre donne? Una vita tormentata dalla sofferenza e segnata da un vuoto che non viene mai colmato?

«La verità vi farà liberi», diceva Colui che conosce l’animo umano meglio di chiunque altro...

Teresa Moro

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