30/06/2017

Charlie: dal “diritto” al “dovere” di morire ci vuol poco

Il “trionfo della morte” (nella foto) è quello che andiamo a celebrare con l‘infanticidio di Charlie Gard

E il caso di Charlie non ha la risonanza mediatica che merita, qui in Italia. Un nostro Lettore si chiede perché. Andiamo a pubblicare le sue riflessioni.

Cara Redazione,

negli ultimi anni i vari e diversi casi del “fine vita”, da quello di Eluana Englaro a DJ Fabo, hanno sempre ottenuto notevole rilievo mediatico, suscitato acceso dibattito ed interrogato la coscienza civile.

Risulta invece pressoché assente o molto marginale, nei principali quotidiani e tv italiani, la tragica e peculiare vicenda di Charlie Gard, bambino di dieci mesi affetto da malattia genetica rara che oggi morirà per decisione della Corte Europea per i diritti dell’Uomo.

La CEDU ha infatti respinto il ricorso dei genitori di Charlie contro la sentenza della Corte Suprema inglese che aveva accolto la richiesta dell’ospedale curante di interrompere i sostegni vitali per il bambino. Né è valsa, per quel papà e quella mamma, la richiesta di poter trasferire il bambino negli Stati Uniti per cure sperimentali (per le quali hanno raccolto donazioni per 1,4 milioni di sterline). La Corte inglese ha infatti ritenuto, applicando la legge inglese, che il “miglior interesse” di Charlie dovesse essere valutato senza riguardo alcuno per discernimento e volontà dei genitori, ma nominando un curatore ad hoc per la rappresentanza del fanciullo. Nel caso di Charlie, tale “migliore interesse” è stato ravvisato nella morte per asfissia, in quanto il bambino soffrirebbe a causa della propria patologia e pertanto mantenerne la respirazione costituirebbe un accanimento terapeutico vietato dalla legge. In buona sostanza, i genitori di Charlie si sono trovati di fronte a medici curanti che hanno richiesto ed ottenuto da un giudice, con il parere favorevole del curatore e dei periti medici, di porre termine alla vita del figlio e di impedirne il trasferimento per cure negli Stati Uniti.

In ciò la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che si è limitata a riconoscere “l’ampio margine di apprezzamento” lasciato agli Stati quanto alla disciplina dell’accesso alle cure sperimentali e dei casi eticamente sensibili, non ha ritenuto di rintracciare la violazione di alcun diritto umano.

...Se la morte è intesa come un bene

Ed in effetti, una volta considerata la morte come un bene che lo Stato deve garantire in date situazioni di insufficiente qualità della vita, e quindi posto un “diritto a morire”, è conseguente non privare di tale beneficio coloro che non sono in grado di richiederlo. Sicché in tale quadro giuridico, che ora risulta perfettamente compatibile con i valori umani dell’Unione Europea, la lista di minori e disabili psichici ovunque interessati all’esecuzione di tali ordini giudiziali è piuttosto lunga.

Il quadro umano e morale della vicenda è invece definito dall’urlo straziante della madre di Charlie nell’udire la sentenza di morte della Corte Suprema, che i giudici di Strasburgo hanno ignorato ma che dovrebbe essere ascoltato almeno per qualche secondo per un’effettiva comprensione della vicenda, da un bimbo malato che inconsapevole, nella propria culla d’ospedale, ora si trova in attesa di essere privato, domani, del nutrimento e del respiro, da una mamma ed un papà che da mesi vivono al suo capezzale testimoniando che Charlie riconosce le persone, manifesta le proprie sensazioni e comunica con lo sguardo, e che da ultimo hanno inutilmente implorato l’ospedale di poter almeno portare il bimbo a casa per fargli un bagnetto e farlo dormire nel lettino nuovo.

Dal diritto di morire al dovere di morire il passo è breve

Si comprende dunque perché il caso Charlie sia così silenziato.

La coscienza italiana può ancora percepire l’enormità di quanto sarà commesso oggi, e l’inganno celato dietro alla retorica eutanasica della “autodeterminazione”.

Questo caso infatti rivela, fin troppo bene, quanto automaticamente dal “diritto a morire” si passi al dovere di morire (non vuole morire Charlie, non lo vogliono i genitori, non lo vogliono né parenti né amici, lo vuole lo Stato su richiesta dei medici).

Un assordante silenzio circonda il caso di Charlie

Le istituzioni e le “autorità morali”, cui spetterebbe rappresentare il comune senso di civiltà, tacciono e non possono rassicurare che quanto accadrà a Charlie non potrà accadere domani in Italia: perché non è vero, perché non possono farlo, e perché non hanno in contrario alcun argomento di verità.

Possono soltanto trincerarsi dietro la retorica della “libertà di coscienza” e dei “casi difficili”, continuando a ripetere che “l’Europa è il futuro dei nostri figli”.

E’ nostro figlio anche Charlie

E’ nostro figlio anche Charlie Gard, e per entrambi i miei figli, quello sano e quella con malattia rara, ritengo preferibile qualunque altro futuro.

Angelo Bonera


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