20/05/2017

Eutanasia: dettagliata analisi della legge sulle DAT (2)

Proseguiamo la pubblicazione dello studio che Giacomo Rocchi, del Comitato Verità e Vita, ha fatto della legge sull’eutanasia approvata dalla Camera.

2. La legalizzazione dell’eutanasia di minori e incapaci.

2.1. Introduzione

Il fulcro principale della proposta di legge – ovviamente nascosto alla generalità dei cittadini, come avviene per tutte le leggi ingiuste che, come tali, sono necessariamente menzognere – è costituito dall’art. 3, intitolato: Minori e incapaci.
Il primo comma serve solo a fare ombra agli altri: proclamando il diritto dei minori o incapaci “alla valorizzazione delle proprie capacità di comprensione e di decisione” nonché a ricevere “informazioni sulle scelte relative alla propria salute in modo consono alle sue capacità” per essere messi nella condizione “di esprimere la propria volontà”, enuncia principi privi di qualsiasi effetto giuridico.
Qui non siamo nemmeno all’ipocrisia, ma all’inganno: si parla di “volontà” del minore e dell’incapace, fingendo che essa sia rilevante dal punto di vista giuridico (che, cioè, possa impedire le pratiche eutanasiche), quando non è affatto così!
L’effettivo contenuto della norma si trova nel secondo, terzo e quarto comma: “2. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la potestà genitoriale o dal tutore, tenendo conto della volontà della persona minore in relazione alla sua età e al suo grado di maturità e avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore nel pieno rispetto della sua dignità”. Norme quasi identiche sono previste per gli interdetti (terzo comma) e per le persone sottoposte ad amministrazione di sostegno (quarto comma).
Queste previsioni legalizzano l’eutanasia non consensuale.
L’eutanasia è l’uccisione “pietosa” di una persona decisa da un’altra persona; ad essere colpiti dall’odio profondo verso la vita umana che pervade la società sono soprattutto i soggetti “deboli” ed “imperfetti”; essi – nella maggior parte dei casi – sono minori di età oppure possono essere interdetti o sottoposti ad amministrazione di sostegno: quindi neonati o bambini in tenera (o meno tenera) età, persone prive di capacità di comprensione od incapaci di manifestare la propria volontà, come i soggetti che si trovano in stato vegetativo persistente, od affette da deficit intellettivo, anziani in stato di demenza progressiva, malati cronici giunti ad uno stadio avanzato della malattia.
Queste persone sono considerate inutili per la società perché non producono ricchezza economica né lo faranno mai; sono viste come un costo che pesa sui conti pubblici e sui patrimoni familiari; la loro assistenza è gravosa, sia dal punto di vista economico che psicologico; esse danno scandalo, perché dimostrano che la vita esiste ed ha un valore anche quando conosce l’handicap, la malattia grave, la demenza e che addirittura può essere felice pur in queste condizioni.
Nell’ideologia che propugna l’eutanasia queste persone “devono” morire, hanno il “dovere di morire” (che è teorizzato anche su base filosofica). Di conseguenza se non scelgono di farsi uccidere – perché non sono in grado di esprimersi o di manifestare una volontà valida – devono essere eliminate ugualmente sulla base della decisione di altre persone e quindi senza il loro consenso o addirittura contro il loro consenso, esplicito od implicito.
Nel mondo la grande maggioranza delle uccisioni di tali soggetti vengono decise e sono state decise così: come l’aborto è l’uccisione di un uomo che disperatamente vuole continuare a crescere, così – in Italia e nel resto del mondo – i casi come quello di Eluana Englaro si moltiplicano, dimostrando che esiste la volontà di uccidere persone che non hanno mai chiesto di morire, con l’attribuzione ad altri – per esempio ad un tutore – del potere di ordinarne la morte sulla base dei criteri di “qualità della vita” propri di chi decide.
Ecco perché il reale nucleo della proposta è l’articolo 3: mentre viene continuamente riproposta la figura “eroica” di Piergiorgio Welby ed il povero Fabiano Antoniani ha fatto da testimonial del diritto al suicidio, più concretamente il legislatore sta operando per legittimare l’uccisione di tante persone inconsapevoli e incolpevoli, vittime della “cultura dello scarto”.
Tutte le proposte di legge in materia di DAT e consenso informato contengono norme sui minori e incapaci, non certo per un’esigenza di completezza legislativa, ma perché la loro uccisione è il reale obiettivo perseguito.

2.2. L’articolo 3 della legge: come funziona?

Vediamo come concretamente opera l’articolo 3 e cosa permetterà.

Chi decide dei trattamenti sanitari su minori e incapaci?
I genitori del minore, il tutore o l’amministratore di sostegno. Infatti, il minore o l’assistito (quando possono) esprimono la volontà rispetto alle scelte terapeutiche, ma sono genitori, tutori ed amministratori di sostegno ad esprimere il consenso informato di cui all’art. 1.
Dal punto di vista giuridico, la volontà espressa dal minore o dall’assistito è inefficace; il consenso informato, invece, è l’unico ad essere efficace.

Cosa possono decidere genitori, tutori o amministratori di sostegno?
Tutto quanto può decidere il maggiorenne capace: quindi “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del loro consenso” (art. 1 comma 1). Il consenso comporta (art. 1, comma 5): a) la possibilità di rifiutare od accettare qualsiasi accertamento diagnostico; b) la possibilità di rifiutare od accettare qualsiasi trattamento sanitario od anche singoli atti del trattamento stesso; c) la possibilità di revocare il consenso in precedenza prestato con conseguente diritto all’interruzione del trattamento.

Cosa intende il legislatore per trattamento sanitario?
Come ho premesso, ormai la proposta stabilisce espressamente che possono essere rifiutati anche trattamenti necessari alla sopravvivenza del paziente.
Il concetto di “trattamento sanitario”, comunque, è generico e ampio, tanto che comprende espressamente nutrizione ed idratazione artificiale: i genitori, i tutori e gli amministratori di sostegno potranno impedire che, nei confronti del figlio o dell’assistito, sia iniziata la nutrizione od idratazione artificiale, o che sia proseguita e hanno il diritto a farla interrompere; analogamente potranno fare per qualsiasi terapia ed ancora prima per qualsiasi accertamento diagnostico.

Il diritto di genitori, tutori ed amministratori di sostegno riguarda anche trattamenti salvavita?
Certamente sì: è previsto espressamente e lo si comprende anche dal riferimento alla nutrizione ed idratazione artificiale; quindi riguarda anche farmaci salvavita e – sembra inevitabile ritenerlo – anche la respirazione artificiale e, comunque, qualsiasi pratica terapeutica che mantiene in vita il soggetto.
Nessuna norma dichiara inefficace il rifiuto di genitore o tutore o amministratore di sostegno quando l’omesso trattamento comporta la morte del figlio o dell’assistito.

I medici possono rifiutarsi di interrompere i trattamenti sanitari, anche salvavita, o possono intraprendere nuovi trattamenti sanitari contro o senza la volontà di genitori, tutori o amministratori?
Il nuovo testo sembra avere introdotto dei limiti alla decisione di genitori, tutori e amministratori di sostegno: essi dovrebbero “tenere conto della volontà del minore o dell’assistito” (quando la può esprimere) e dovrebbero manifestare il consenso o il rifiuto “avendo come scopo la tutela della salute psicofisica e della vita del minore (o dell’interdetto) e nel pieno rispetto della sua dignità” (commi 2 e 3).
Il comma 5 prevede, inoltre, la possibilità di una decisione giudiziaria: “5. Nel caso in cui il rappresentante legale o l’amministratore di sostegno rifiuti le cure proposte ed il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale, dei parenti, del medico o del rappresentante legale della struttura sanitaria”.
Che efficacia hanno queste previsioni? La decisione del genitore o del legale rappresentante dell’incapace sembra essere soggetta ad un controllo. Ancora una volta, la norma è ingannevole e resterà (quasi del tutto) inapplicata.
Nell’articolo apparso sulla Nuova Bussola Quotidiana il 1 aprile scorso “sfidavo” il prof. D’Agostino, che aveva sostenuto che “il disegno di legge non è in alcun modo finalizzato ad introdurre in Italia una normativa che legalizzi l’eutanasia”, evidenziando il meccanismo ideato nel suo concreto operare: “Come funziona questa norma? È semplice: il medico non è obbligato a ricorrere al giudice tutelare se è d’accordo con la decisione del tutore e, quindi, può semplicemente interrompere la nutrizione e idratazione all’incapace, cioè ucciderlo.
Per uccidere Eluana Englaro furono necessari la volontà del tutore di farla morire, diverse pronunce della magistratura (l’ultima quella della Corte d’appello di Milano che diede il via libera finale) ed un gruppo di medici e paramedici che concordavano con la decisione di Beppino Englaro e la eseguirono.
Con questa legge, per ottenere lo stesso risultato nei confronti di altri disabili, non sarà necessaria una sentenza dei giudici: basterà un tutore (o il genitore di un minore o di un neonato) ed un medico che è d’accordo con lui e che non farà alcuna opposizione; un medico che il tutore potrà scegliere (la scelta del medico curante, come è noto, è libera). Ci saranno almeno conseguenze penali, verrebbe da dire! La legge, premurosamente, garantisce ai medici che eseguiranno la volontà dei tutori l’esenzione da responsabilità civile o penale; esattamente come è avvenuto per la morte procurata di Eluana Englaro”. Del resto, lo scopo cui il rappresentante legale dovrebbe ispirarsi – la tutela della salute psicofisica e della vita, nel rispetto della dignità – è generico e fa intendere che, se il mantenimento in vita del minore o dell’incapace lede la sua “dignità” (secondo il giudizio del rappresentante legale), è lecita la decisione di rifiutare terapie salvavita.
La dignità dell’essere umano, quindi, non dipende semplicemente dalla sua vita, ma dalla qualità della vita; alcune vite non sono degne di essere vissute e, quindi, devono essere spente.
Il giudice tutelare, nel caso fosse presentato ricorso, dovrebbe attenersi a questo criterio.

Giacomo Rocchi

(continua)


AGISCI ANCHE TU! FIRMA LE NOSTRE PETIZIONI

NO all’eutanasia! NO alle DAT!

#chiudeteUNAR

Questo articolo e tutte le attività di Pro Vita & Famiglia Onlus sono possibili solo grazie all'aiuto di chi ha a cuore la Vita, la Famiglia e la sana Educazione dei giovani. Per favore sostieni la nostra missione: fai ora una donazione a Pro Vita & Famiglia Onlus tramite Carta o Paypal oppure con bonifico bancario o bollettino postale. Aiutaci anche con il tuo 5 per mille: nella dichiarazione dei redditi firma e scrivi il codice fiscale 94040860226.