21/05/2017

Eutanasia: dettagliata analisi della legge sulle DAT (3)

Continuiamo con la pubblicazione dello studio che Giacomo Rocchi, del Comitato Verità e Vita, ha fatto della legge sull’eutanasia approvata dalla Camera.

2.3. I casi concreti di eutanasia di minori e incapaci permessi dall’art. 3.

Scopriamo cosa permetterà la normativa.

Il primo esempio è ovviamente quello di Eluana Englaro: l’uccisione di quella giovane donna in stato di incoscienza fu decisa dal padre – tutore (era necessaria la nomina del padre a tutore perché la vittima era maggiorenne) che vide riconosciuto dai giudici il diritto a fare interrompere la nutrizione ed idratazione artificiale alla figlia interdetta, con conseguente morte per fame e per sete.
La Corte d’appello di Milano, nel decreto che dette il via libera all’uccisione della Englaro, dispose che l’interruzione di nutrizione ed idratazione fosse accompagnata da cure palliative per ridurre il disagio che la donna avrebbe provato – e che certamente provò.
Il legislatore si è ispirato a questo modello, permettendo nel futuro altre analoghe uccisioni con le stesse modalità di tanti soggetti in stato di incoscienza per decisione dei loro tutori.

La norma permette l’uccisione dei neonati prematuri o disabili.
Si tratta di una “categoria” di potenziali vittime dell’eutanasia su cui l’attenzione è concentrata da molti decenni: il famigerato “Protocollo di Groningen” prevede che ogni neonato (soprattutto quelli prematuri che, in ragione del loro sviluppo non completo, possono sopravvivere se adeguatamente curati con gli strumenti di rianimazione neonatale ma con la previsione di future disabilità) sia “classificato” per verificare se e quante sono le probabilità di successo della rianimazione e soprattutto se la sua condizione faccia prevedere una qualità della vita, in caso di sopravvivenza, “accettabile”.
In effetti, l’eliminazione dei neonati disabili è pienamente coerente con l’ideologia eutanasica: i
nuovi soggetti vengono immediatamente eliminati se non corrispondono al “modello” utile alla società.
Dal punto di vista giuridico, la soluzione più “semplice” per ottenere il risultato perseguito è di
far decidere i genitori – che potranno essere influenzati nella decisione rappresentando loro le
scarse possibilità di successo e i futuri problemi derivanti dalla disabilità del figlio.
I genitori potranno decidere di non far intraprendere manovre di rianimazione neonatale e di far sospendere qualsiasi trattamento intensivo (incubatrici ecc.).

Sarà possibile realizzare anche il cd. “aborto post-natale” teorizzato da Giubilini e Minerva e che ha scandalizzato molti (ma non tutti).
Si tratta pur sempre di uccisione di neonati, ma sulla base di un ragionamento più radicale: se la legge autorizzava la donna ad abortire per le condizioni di quel bambino (ad esempio: affetto da sindrome di Down), dovrebbe essere permesso ucciderlo subito dopo la nascita, per risolvere i problemi per la sua famiglia e per la società che l’aborto avrebbe potuto evitare. Giubilini e Minerva non spiegavano come i neonati dovrebbero essere uccisi: ma è nozione comune che tutti i neonati (e soprattutto quelli che sono affetti da malattie o disabilità), nei primi giorni di vita, necessitano di trattamenti sanitari (almeno secondo lo stato della scienza e della medicina che conosciamo nel mondo avanzato, in cui il parto avviene negli ospedali e il neonato è seguito, sottoposto ad accertamenti ed alle terapie necessarie); la possibilità per i genitori di negare il consenso per qualsiasi attività diagnostica e terapeutica permetterà la morte di questi bambini.

Sarà possibile anche l’eutanasia di minori affetti da gravi patologie (ad esempio: tumori).
La legge risolve il possibile contrasto tra la volontà del bambino/ragazzo e quella dei genitori: anche se il primo volesse proseguire in terapie gravi o invasive (ad esempio: un ennesimo ciclo di chemioterapia, amputazioni, operazioni chirurgiche gravi), i genitori potranno negare il loro
consenso e determinarne la morte.
Analogamente genitori, tutori e amministratori potranno rifiutare le trasfusioni di sangue (rifiutate dai Testimoni di Geova e da altre sette o Chiese) per i figli minori, per gli interdetti o gli assistiti.
In questi due casi, tuttavia, è prevedibile il ricorso al giudice tutelare da parte dei medici (come
l’esperienza giudiziaria insegna).

Abbiamo già parlato degli adulti in stato cd. vegetativo; più in generale sono a rischio tutti gli adulti (e soprattutto gli anziani) in stato di incoscienza o di demenza e quindi sottoposti a tutela o ad amministrazione di sostegno (che magari potrebbe essere richiesta proprio con questa finalità).
I tutori e gli amministratori di sostegno potranno negare il consenso a nuove terapie od interventi da eseguire quando il paziente non è più in stato di coscienza o non è in grado di manifestare la propria volontà, o revocare il consenso a terapie in corso; ma potranno anche non autorizzare interventi diagnostici per la ricerca di patologie. Le loro disposizioni saranno vincolanti per le strutture che dovranno garantire “la piena e corretta attuazione dei principi della legge”.

2.4. Gli interventi di emergenza.

Qui emerge la questione degli interventi di emergenza: l’art. 1 comma 7 della proposta dispone che “Nelle situazioni di emergenza o di urgenza, il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie, nel rispetto della volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirla”. Quindi, un medico che giungerà in un luogo di un incidente o di un malore con l’autoambulanza o che si troverà in condizioni simili, potrà operare per salvare la vita del soggetto in stato di incoscienza.
Se il soggetto è cosciente e capace di esprimersi, dovrà accertare la sua volontà e, se contraria alle cure, rispettarla: si pensi alla necessità di amputazione di arto nei confronti di una persona
coinvolta in un incidente stradale o in un crollo: sembra paradossale, ma il medico che la riterrà necessaria per salvare la vita della persona intrappolata non potrà procedere, lasciandola morire se rifiuterà l’intervento. In ogni caso, cessata la fase di emergenza (ad esempio: salvata la vita del soggetto, stabilizzato il paziente e trasportato in ospedale) la questione di quali terapie intraprendere si riproporrà e, nel caso in cui il paziente sia in stato di incoscienza, sarà risolta con il ricorso alla DAT (se è stata compilata) ovvero con la richiesta di consenso alle terapie ai rappresentanti legali che saranno all’uopo nominati e che potranno, quindi, negarlo.
Pertanto – terminata la primissima fase di rianimazione – potrà essere pretesa la cessazione delle terapie che mantengono in vita il paziente in stato di coma, anche se vi sono possibilità di recupero della coscienza, per impedire che egli continui a vivere seppure disabile o menomato ovvero per evitare che il coma conduca allo stato vegetativo.

2.5. L’illegittimità della regolamentazione per i minori e gli incapaci.

Per concludere, è evidente che questa parte della normativa sia clamorosamente incostituzionale.
L’articolo 1 della proposta di legge richiama “il rispetto dei principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione”. Ebbene: non appartengono al minore ed all’incapace il diritto inviolabile alla vita (garantito dall’art. 2 della Costituzione) e quello ad essere curato adeguatamente (art. 32 della Costituzione)? I minori e gli incapaci sono una categoria di soggetti inferiori, i cui diritti possono essere violati e dei quali altri adulti possono disporre a piacimento? Certamente no: i “diritti inviolabili” spettano all’uomo in quanto tale (art. 2: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”); la salute è un “fondamentale diritto dell’individuo” (art. 32), tanto che la Repubblica “garantisce cure gratuite agli indigenti”: come fa a garantire doverosamente la salute dei poveri ed insieme permettere che le terapie necessarie od opportune siano negate a minorenni e ad incapaci?
La “simmetria” disegnata dal legislatore – essendo necessario il consenso del maggiorenne capace deve essere individuato qualcuno che lo presti anche per i minorenni e gli incapaci – è falsa: qui non si parla di diritti patrimoniali (vendere una casa, accettare un’eredità), ma di diritti personalissimi ed indisponibili!
Quindi, se il minore e l’incapace non possono esprimere il consenso, il principio imposto dalla Costituzione è di curarlo adeguatamente anche senza il suo consenso. I genitori ed i rappresentanti legali possono soltanto collaborare perché al minore ed all’incapace siano prestate le terapie opportune.

3. La norma sull’accanimento terapeutico.

Nel testo approvato in Assemblea dalla Camera fa la sua comparsa il divieto di accanimento terapeutico.
L’art. 2, comma 2, prevede che “Nei casi di paziente con prognosi infausta a breve termine o di imminenza di morte, il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili e sproporzionati”.
In realtà, il divieto di accanimento terapeutico è già previsto dalle norme deontologiche: perché inserirlo nel testo di legge? Tre risposte possibili:
a) per stabilire che, in questi casi, le richieste del paziente di essere sottoposto a cure e a trattamenti che il medico ritiene una “ostinazione irragionevole” e/o giudica “inutili o sproporzionati” non vincolano il medico. Come vedremo anche in seguito, la legge obbliga il medico a permettere la morte per mancanza di terapie ma non lo obbliga mai a rispondere a richieste di terapie provenienti dal paziente o dai suoi familiari;
b) per intimidire i medici coscienziosi: il divieto stabilito dalla legge permetterà al paziente che vuole morire (o ai suoi legali rappresentanti se si tratta di incapace) di promuovere una causa nei confronti del medico e della struttura in cui opera per obbligarli a cessare le cure; si concretizza l’azione giudiziaria civile che fu negata a Piergiorgio Welby (che, prima di farsi uccidere da Mario Riccio, aveva inutilmente promosso un’azione civile per ottenere l’interruzione dei trattamenti). Ora ciò sarà possibile e sarà il Giudice a valutare se il paziente si trovi o meno nelle condizioni descritte dalla norma;
c) per permettere al medico di procedere all’eutanasia con sedazione terminale: la norma, infatti, prosegue: “In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente”.

Giacomo Rocchi
(continua)


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