31/05/2017

Eutanasia: dettagliata analisi della legge sulle DAT (5)

Proseguiamo con la pubblicazione dello studio di Giacomo Rocchi (Comitato Verità e Vita) in tema di legalizzazione dell’eutanasia, che è l’obiettivo del disegno di legge sulle DAT già approvato dalla Camera dei Deputati e che attende di essere discusso dall’aula del Senato.

5. Le Disposizioni anticipate di trattamento.

L’articolo 4 regola le “Disposizioni anticipate di trattamento”: il mutamento del nome (da “Dichiarazioni” a “Disposizioni”) vuole indicare il loro carattere vincolante nei confronti del medico.
In effetti, dice il comma 6 dell’articolo, “fermo restando quanto previsto dal comma 6 dell’art. 1, il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, si procede ai sensi dell’art. 5 comma 3”.
Cosa significa? Il medico che applica le DAT (anche se non più attuali) è esente da responsabilità civile e penale (questo comporta il richiamo all’art. 1 comma 6); se, invece, vuole disapplicarle: a) deve avere l’accordo del fiduciario; b) rischia di essere chiamato in giudizio dallo stesso fiduciario per il suo rifiuto di applicarle (questo è il senso del richiamo all’art. 5 comma 3); c) per di più, per disattenderle, deve dimostrare che le nuove terapie, non esistenti all’epoca della redazione delle DAT, miglioreranno le condizioni di vita del paziente.
In definitiva; la legge dice chiaramente ai medici: “applica le DAT e non ti porre domande, altrimenti ne deriveranno problemi …”.

Anche per le DAT il legislatore si disinteressa del tutto della libertà effettiva di chi le effettua e, soprattutto, della sua effettiva informazione (che, per di più, è in buona parte impossibile perché si tratta di disposizioni formulate per un futuro incerto, senza che il soggetto possa davvero rendersi conto delle condizioni in cui forse si troverà); si limita a pretendere che esse siano redatte in forma scritta “per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, oppure presso le strutture sanitarie”.
Tanto è disinteressato il legislatore delle formalità e della garanzia che esse dovrebbero dare all’interessato, da stabilire, all’art. 6, che sono validi come DAT le dichiarazioni illegittimamente depositate presso i Comuni o i notai fino a questo momento.

Anche per le DAT (come per il rifiuto di terapie salvavita) si pone il problema della loro modifica. Il meccanismo rende efficaci le DAT quando la persona che le ha redatte ha perso “la
capacità di autodeterminarsi” (espressione molto generica); prima di tale evento, però, il soggetto può cambiare idea e modificarle “con le medesime forme” (quindi con atto pubblico, scrittura privata autenticata, consegna personale agli uffici pubblici).
Vi possono essere, però, casi di urgenza: ad esempio un evento grave in cui il soggetto è ancora in stato di coscienza ma teme di perderla entro breve termine (ad esempio, sta per essere sottoposto ad un’operazione chirurgica importante dall’esito incerto). L’art. 4 comma 6 prevede che “Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste dai periodi precedenti, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l’assistenza di due testimoni”.
Ecco la rappresentazione plastica del soggetto “ingabbiato” dalle DAT! In quelle condizioni egli potrebbe aver compreso una cosa sola: che vuole essere curato al meglio e mantenuto in vita; eppure, se non c’è un medico e due testimoni (quindi tre persone contemporaneamente presenti sul posto) quello che ha scritto anni prima nella totale inconsapevolezza prevarrà ed egli sarà lasciato morire (non ci nascondiamo: il contenuto effettivo delle DAT è questo), senza che il medico rischi alcuna conseguenza civile e penale.

Abbiamo già detto che le DAT, o il testamento biologico, altro non sono che un inganno nei confronti delle persone che, credendo di tutelare la propria dignità nella malattia e senza rendersi conto delle reali condizioni in cui potranno trovarsi, daranno il via libera al loro abbandono terapeutico, così rischiando di non essere curate adeguatamente quando ciò sarà invece possibile.
Questo dimostra l’esperienza del testamento biologico nel mondo, così come dimostra l’incapacità dei fiduciari di comprendere e rispettare davvero la volontà del dichiarante.

6. A cosa servono il consenso informato e le DAT?

I due istituti servono certamente a determinare la morte anticipata del paziente in conseguenza del rifiuto di terapie o di revoca del consenso, ma non garantiscono al paziente terapie migliori, né vincolano il medico ad eseguire determinate terapie.

Secondo l’art. 1, comma 8 della legge “il tempo della comunicazione tra medico e paziente è da considerarsi tempo di cura”; affermazione che forse potrà sollecitare i medici a prestare maggiore attenzione ai pazienti, ma che nasconde l’ideologia del consenso informato: il paziente viene curato anche se, in conseguenza del colloquio, viene lasciato morire per la mancata erogazione di terapie salvavita.
Le terapie sono quelle indicate dal medico, ma la legge non stabilisce alcun obbligo per il medico di indicare la migliore terapia. Cosicché, a norma del comma 2, “è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico il cui atto fondante è il consenso informato nel quale si incontrano l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico”; parole assai vaghe, che in realtà comportano due effetti diversi a seconda del tipo di desiderio espresso dal paziente: l’obbligo per il medico di non erogare o interrompere terapie; la sua discrezionalità in presenza di consenso.

Ecco l’ulteriore illusione per i firmatari delle DAT.
Se essi sperano di costringere i medici a mantenerli in vita, curandoli al meglio e con ogni mezzo necessario, si sbagliano: nella DAT essi esprimeranno “le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari” (art. 4 comma 1), ma ad essere vincolanti per il medico saranno solo “il consenso od il rifiuto rispetto a scelte terapeutiche”, mentre saranno disattese se ritenute “palesemente incongrue”.
Allo stesso modo, nel rapporto tra paziente maggiorenne cosciente e medico, vige questo “doppio binario”, che ben si coglie dalla lettura dell’art. 1 comma 6: il medico “è tenuto a rispettare la volontà del paziente di rifiutare il trattamento o di rinunciare al medesimo”; se, invece, la volontà è favorevole alle terapie, il regime è diverso: “Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali; a fronte di tali richieste, il medico non ha obblighi professionali”.
L’obbligo è solo per la morte, non per la vita!

7. Quale medico?

7.1. Introduzione

L’art. 1 comma 6 della legge, che abbiamo appena menzionato, contiene il secondo fulcro centrale del progetto, anch’esso nascosto alla generalità dei cittadini, ma ben presente ai proponenti: “Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo e, in conseguenze di ciò, è esente da responsabilità civile o penale“.
La norma è ribadita per le DAT: “Fermo restando quanto previsto dal comma 6 dell’art. 1, il medico è tenuto al rispetto delle DAT …” (art. 4 comma 5).

Siamo al termine del percorso che ha avuto inizio con la contestazione della figura del “medico
paternalista”, che decideva delle terapie da erogare o meno senza interpellare il paziente e senza nemmeno informarlo adeguatamente.
Che davvero esistessero medici così è assai dubbio: la storia ha tramandato figure luminose di medici coraggiosi ed eroici e davvero impegnati a curare adeguatamente i propri pazienti; in ogni caso del medico disegnato da questo progetto di legge non possiamo che diffidare.
L’obiettivo esplicito è: nessuna responsabilità civile e penale! Per raggiungere questo risultato, la legge indica una strada ben precisa al medico: “cura ed agisci solo se hai in precedenza ottenuto un consenso scritto che ti metta al riparo; altrimenti astieniti”. Quindi: fai quello che ti ordina il paziente e nient’altro.

In realtà, il “prezzo” di questa esenzione di responsabilità tanto agognata dai medici è molto più alto: egli deve essere disposto anche ad uccidere le persone.
Lo sappiamo: così come, secondo alcuni, “il buon medico non obietta” e quindi è disposto ad uccidere i bambini su richiesta, più in generale i modelli di “buoni medici” sono Mario Riccio e i sanitari che hanno accuratamente annotato e seguito l’agonia di Eluana Englaro, sempre ottemperando al “consenso informato” del paziente o del tutore della incapace.
Il buon medico è quello che uccide su richiesta?

Non basta; questo medico non è libero nemmeno rispetto allo Stato e alle Direzioni dell’ospedale dove lavora: l’art. 1, comma 9 del progetto stabilisce che “ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale”.
Quindi, di fronte a tutori che negheranno il consenso a terapie salvavita, saranno le Direzioni ospedaliere a mettere in riga i medici riottosi e, se necessario, a licenziarli quando tenteranno di continuare a curare il paziente.

Giacomo Rocchi

(continua)


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