28/08/2017

Google & C, padroni di internet, padroni del mondo

Sono poche e grandi le imprese che controllano di fatto il flusso di informazioni, dati e notizie che viaggiano on line: Google, YouTube (di proprietà di Google), Facebook e PayPal sono le più potenti. Ma anche AmazonTwitter...

Bisogna arginare lo strapotere di Google?

Doug Mainwaring, su LifeSiteNews, in un lungo articolo, suffragato dall’opinione giornalisti e opinionisti molto noti negli States, conclude che è giunto il momento che vengano emanate delle norme per questi giganti tecnologici che – pur essendo privati – svolgono di fatto una funzione pubblica: essi dovrebbero assicurare una vera e concreta imparzialità nella loro attività, perché sostanzialmente hanno un potere illimitato nel filtrare la comunicazione.

Google e gli altri  giganti tecnologici oggi determinano il futuro della musica, del cinema, della televisione, delle pubblicazioni in genere e delle agenzie di informazione. E non è solo un problema solo per musicisti o giornalisti: è una questione di denaro e di potere. Google, Facebook e Amazon ora godono di un vero e proprio potere politico, paragonabile a quello delle grandi multinazionali americane petrolifere o farmaceutiche (Big Oil e Big Pharma)

Google & c. non sono campioni di democrazia né mostrano di rispettare il pluralismo delle idee

Ma recentemente, Google e i  giganti della Silicon Valley, invece,  si sono recentemente mostrati molto illiberali. Hanno censurato persone, clienti, e notizie in senso unilaterale rispetto alle idee politiche e alla cultura mainstream che nell’ambito dei loro gruppi dirigenti prevale (per esempio guardate qui e qui e qui e qui).

Google & C. controllano di fatto la realtà. O, meglio, la percezione della realtà che le persone ricevono. Google ha mostrato già diversi anni fa una volontà inquietante di distorcere la realtà per scopi ideologici:  fino a quando non ha perso una causa intentatagli, nel 2008, Google ha rifiutato di far apparire le pubblicità anti aborto sulle proprie piattaforme, mentre consentiva liberamente quelle pro aborto. YouTube, di proprietà di Google, taglia i ‘contenuti offensivi’. Ma che cosa è offensivo? Chi lo decide? Chi dà ai dirigenti di Google il diritto di decidere cosa è bene e cosa è male?

Anche Sky News ha recentemente tacciato Facebook di bullismo e di mancanza di rispetto per il dibattito, quando ha bloccato delle pagine a favore del matrimonio naturale. E in generale (basta fare un giro sulle pagine pubbliche) Facebook tende a censurare molto più facilmente e severamente le pagine cattoliche, che quelle dei bestemmiatori.

PayPal ha dichiarato che non consentirà alle associazioni che “propagano odio” di ricevere donazioni tramite il suo sistema on line, e già le scorse settimane è nato un contenzioso con alcuni portali web americani (per esempio il sito di Pamela Geller, una conservatrice, è stato bannato per alcune settimane, finché le proteste che sono state inviate a PayPal non l’hanno indotto a ripristinarlo).

Ci vorrebbe un’ “antitrust” della libera informazione...

Dal punto di vista strettamente commerciale, il mercato libero e un’economia aperta è fondamento di un’economia vibrante. La concorrenza  dà prezzi più bassi, prodotti e servizi di qualità superiore, maggiori scelte e maggiore innovazione. Ciò non vuol dire, certo, che il mercato non debba rispettare le regole (e la morale naturale). Per questo  esistono le leggi  e le authority antitrust. E infatti a  Google  è stata comminata una multa  di 2,7 miliardi di dollari per aver violato la legge antitrust europea, indirizzando le scelte dei consumatori verso i propri siti di shopping on line.

Perciò, come le Authority antitrust puniscono l’abuso di posizione dominante sul mercato dei beni e dei servizi, così qualcuno dovrebbe porre un argine allo strapotere di Google & C. nel campo dell’informazione a garanzia della libertà di espressione del pensiero, tramite il web, che tutti gli ordinamenti civili riconoscono.

E  se invece i giganti del web lavorano al soldo della psicopolizia e del “Ministero dell’Amore”?

Dice bene Mainwaring, dall’America. Qui in Europa, invece, si è già realizzata un’alleanza molto pericolosa tra il potere politico e i giganti dell’internet: alla luce del “Codice di condotta sull’incitamento all’odio on line” elaborato dalla Commissione Europea, con Facebook, Microsoft, Twitter e Youtube, non ci stupisce che i vari Governi di Paesi che ancora si dicono democratici stanno istituendo una vera psicopolizia, alle dipendenze del Ministero dell’Amore (uno dei quattro ministeri con cui il Grande Fratello governa Oceania, in 1984 di George Orwell. Il Ministero dell’Amore reprime ogni sintomo di dissenso contro il Grande Fratello. Il suo nome dunque è paradossale, e rientra nella logica del “bispensiero”.  L’edificio del ministero è privo di finestre, e circondato da filo spinato, nidi di mitragliatrici e guardie armate di manganelli. All’interno, le luci non sono mai spente, e ci si riferisce al ministero enigmaticamente, come ad un luogo dove non vi è oscurità...). Di recente, anche il ministro Orlando, in Italia, pare abbia cambiato nome al suo dicastero, mentre il Parlamento – oltre ad aver sempre nel cassetto la legge contro lo “psicoreato” di omofobia – sta lavorando al perniciosissimo disegno di legge 2688, con la scusa delle fake news.

Non è certo un problema banale quello di  “chi controlla il controllore” e con quali criteri. Certamente è un problema più grande di noi. Ma sarà bene che tutti gli utenti del web, nel farsi un’idea di ciò che accade nel mondo e di ciò che “la gente dice, pensa e gradisce”, siano ben coscienti del  fatto che le notizie che girano di più, che hanno più evidenza, che guadagnano un rank maggiore, non necessariamente sono quelle che lo meritano. Con tale consapevolezza si preserva lo spirito critico e l’autonomia del pensiero, a prescindere da quel che “dice” Google.

Noi, finché il sistema non ci tapperà la bocca, continueremo a lottare per la libera informazione per poter continuare a parlare nel nome di chi non ha voce.

Francesca Romana Poleggi


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