07/05/2017

La vita è mia e la gestisco io: la termino quando voglio #2

Continuiamo la riflessione sulla vita e sulla morte che abbiamo cominciato ieri.

Un senso, nella vita

Un  bambino si butta con fiducia nelle braccia dei genitori perché spera da loro il bene, e sente che la vita è un bene.

C’è un attaccamento primordiale alla vita che non è solo istinto di sopravvivenza, ma una certezza interiore, che la vita è un bene. Questo istinto primordiale attraversa tutto. Quasi sempre prevale quel sentimento profondo di fiducia fondamentale nella vita che, malgrado tutto, vede un senso in ogni momento dell’esistere umano, un senso che nessuna circostanza per quanto avversa può distruggere.

Ma la vita può essere inutile?

Mi rendo conto che si può giungere a tentazioni di disperazione sul senso della vita e a ipotizzare il suicidio per sé o per altri. Questo viene dal fatto che si può pensare che la propria vita sia inutile. Ma tocca proprio ai familiari – e anche allo Stato – aiutare il malato a superare quei momenti difficili per recuperare il senso della propria esistenza. Vediamo il suicidio assistito di Lucio Magri, declamato come ‘segno di civiltà della vicina Svizzera’: un lungo periodo di solitudine, causato dalla perdita della donna amata e di depressione, alone oscuro che aveva accompagnato quell’ultimo viaggio per “comprare la morte”.

Già l’ordinamento vigente  non impone la vita a tutti i costi

Dicono che ci possono essere eccezioni, per esempio se la persona che vive solo attaccata a una macchina vuole morire. Ebbene il nostro ordinamento giuridico prevede già che il paziente non può essere costretto a seguire delle terapie contro la sua volontà: se una persona è capace di intendere e di volere nessuno può obbligarla a curarsi, quindi se uno ha la cancrena ad una gamba e non vuole tagliarsi la gamba, muore; e se io chiedo di non essere rianimato a seguito di un infarto bisogna fare la mia volontà e lasciarmi morire; si può persino chiedere la sospensione di terapie salva – vita.

Dal punto di vista morale,  bisogna sempre rispettare la natura: se il prolungamento della vita non richiede sforzi straordinari e sproporzionati (cioè se non c’è accanimento terapeutico) moralmente bisognerebbe salvare la vita, anche nei casi suddetti. Tuttavia, essendoci una zona grigia fra accanimento terapeutico e il continuare le terapie solo il medico in scienza e coscienza può risolvere la questione nel caso concreto.

Infatti, la pianificazione ed eventuale sospensione di terapie è una cosa che avviene quotidianamente nei nostri ospedali. Vi è una zona grigia fra accanimento terapeutico e il continuare le terapie che comunque solo il medico in scienza e coscienza può risolvere.

Oggigiorno è possibile morire dignitosamente senza sofferenze insopportabili poiché le cure palliative hanno fatto grandi progressi. Purtroppo però non sempre vengono applicate. Con migliaia di persone che sono lasciate a soffrire negli ospedali, con solo 30% dei malati di tumore che hanno accesso alle cure palliative e 200.000 anziani, disabili e malati che vengono dimessi dagli ospedali ogni anno, quale dovrebbe essere la priorità di uno Stato civile?  Quella di aiutare le persone a morire o, forse, piuttosto a eliminare le sofferenze e aiutare coloro che vogliono vivere?

Legalizzare l’eutanasia è un attentato alla vita

La legalizzazione dell’eutanasia, in ogni sua forma, rappresenta un tentativo ingannevole di evitare il dolore e la sofferenza e trasmette alle persone più vulnerabili il messaggio che la loro vita non valga più la pena di essere vissuta.
La legalizzazione dell’eutanasia apre la strada a disperazione e sconforto insegna che togliersi la vita è la risposta giusta alle avversità a discapito soprattutto delle persone più vulnerabili: anziani e disabili si sentiranno in “dovere” di morire.
La legalizzazione dell’eutanasia pregiudica la ricerca e lo sviluppo nell’ambito delle terapie palliative, come ha denunciato Elst Borst in Olanda, che inizialmente era fautrice della legge sull’eutanasia.

Il lato misterioso e indisponibile della vita

Albert Einstein era convinto che «essere consci del lato misterioso e indisponibile della vita è il più bel sentimento che ci sia dato provare: sta alla radice di ogni arte e di ogni scienza vera». Non si vive solo per se stessi ma anche per il bene di tutta la società ed è fondamentale che la società faccia capire al malato che la sua vita è importante per tutti per l’esempio ed il messaggio che può dare. Il malato non deve essere indotto all’autodistruzione, ma aiutato a cogliere il senso che c’è anche nei momenti di sofferenza.

Nessuno vive solo per se stesso e nessuno muore solo per sé e da sé. Non si appartiene mai esclusivamente a se stessi; la vita, proprio per il reticolo di relazioni che intesse e che la costituiscono, non è mai solo e totalmente mia, retta da una legge esclusivamente mia e gestita con norme del tutto soggettive. La libertà del singolo è un valore altissimo, ma si esercita in equilibrio con la relazione nei confronti dell’altro. Anche un agnostico, come il russo Vladimir Nabokov in Fuoco fatuo (1962), alla fine riconosceva che «la vita umana è una serie di note a piè di pagina di un immenso e oscuro capolavoro».

Riflettiamo.

La legge, generale e astratta, deve proteggere la vita

Si possono fare leggi sulla base di eccezioni estreme, pietose e reclutate per far impressione sulla comunità, considerando che ogni legge ha un forte potere pedagogico  per la società umana? La legge ha un valore universale sulla società umana.

E’ giusto esaltare la cultura della morte che, camuffata da libera scelta, fa propaganda a favore del ‘togliersi di mezzo’?

La vita, la libertà e la morte

La libertà presuppone la vita: se non vi è vita non vi è più la libertà. Se ci si autodistrugge dove finisce la libertà? La vita è forse un bene disponibile come una macchina o un telefono?

Quale è il principio generale da applicare? Che la vita è degna di essere vissuta solo se vi sono presupposti di felicità, potere, successo e che non si abbiano problemi? E chi, alla fine, nella vita non attraversa momenti di crisi, di buio e di depressione?

Gli attacchi alla vita sono mossi da interessi economici

Cosa vi è dietro la stretta collaborazione fra i grandi media e l’appello dei radicali “A.A.A. cerchiamo malati terminali per ruolo da protagonista” ? Con questa campagna mediatica si presentano casi estremi e pietosi affinché la morte divenga in Italia un’esperienza a comando.

Quali interessi vi sono dietro a questa campagna mediatica e politica? Compassione? No, perchè la vera compassione porta a essere solidali verso chi soffre e non aiuta a morire; dietro all’eutanasia vi è tanto egoismo, molti profitti per le cliniche della morte e le industrie farmaceutiche e milioni di risparmi per i sistemi sanitari nazionali e per le compagnie assicurative. Soprattutto vi è una mentalità eugenetica per cui chi non produce, chi è vecchio, debole, malato o disabile va eliminato.

Perchè la stragrande parte dei paesi al mondo, circa 185 su 196 condannano l’eutanasia e/o il suicidio assistito?

Siamo veramente convinti che la vita appartiene solo a noi stessi e che la vita sia un bene disponibile? O, forse, per tutti noi, credenti e non credenti, essa è un dono che ci è stato elargito non solo per il nostro bene ma anche per quello della società?

Toni Brandi


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