17/08/2019

Charlie, Alfie, Tafida: dietro il “miglior interesse” c’è un odio per la vita e anche per la famiglia

La scure dell’austerity sanitaria in Gran Bretagna va ad abbattersi nuovamente contro i bambini. Appena due anni fa, di questi tempi, piangevamo l’ingiusta morte del piccolo Charlie Gard. Neanche il tempo di assimilare l’accaduto e il mondo pro life è stato nuovamente scosso dagli analoghi casi di Isaiah Haastrup e Alfie Evans, strappati crudelmente alla vita e all’affetto dei loro genitori dall’ottusità del sistema sanitario britannico. Quello di Tafida Raqeeb è il quarto caso in due anni nello stesso paese. Quattro casi sono probabilmente la punta dell’iceberg in un oceano di sofferenza, in cui decine, forse centinaia di altri bambini, vengono lasciati morire, nella rassegnazione delle famiglie, probabilmente condizionate da una mentalità eutanasica molto radicata.

Cambiano le patologie, cambia – almeno nell’ultimo caso – l’età della piccola paziente (Tafida ha cinque anni) ma lo schema si rinnova: il personale medico-ospedaliero, appoggiato dai tribunali, vuole sospendere le cure, i genitori si oppongono e trovano resistenza anche quando si assumono la responsabilità di trasferire il figlio in un’altra struttura a spese loro. Era successo con Alfie e si sta ripetendo ora con Tafida. In entrambi casi un ospedale italiano di grande prestigio ha offerto la propria disponibilità. Per il bimbo di Liverpool si mobilitò addirittura la Santa Sede, papa Francesco incluso, per un suo ricovero al Bambino Gesù di Roma. Per la cinquenne di origini bengalesi, si è offerto il “Giannina Gaslini” di Genova, ospedale all’avanguardia, in particolare nel reparto pediatrico. Lo scorso maggio, oltretutto, il Gaslini è stato scenario di un “miracolo”, con la guarigione insperata di un quindicenne albanese, giunto a un passo dalla morte per annegamento.

La differenza di approccio rispetto a questi casi tra la sanità italiana e quella britannica riflette anche gli umori dell’opinione pubblica nei rispettivi paesi. Oltremanica, il tema scuote poco la sensibilità del britannico medio, piuttosto assuefatto alla mentalità individualista, utilitarista e darwiniana del “best interest”. In Italia, al contrario, il senso della famiglia più spiccato, retaggio anche di una “cultura del cortile” e “del vicinato” per cui i bambini erano un po’ figli di tutti, rappresenta ancora un argine formidabile alla cultura della morte. Oltre alla già menzionata disponibilità del Bambino Gesù e del Gaslini, non va trascurato che il paese dove i casi Gard ed Evans hanno avuto più eco mediatica e social è stato proprio l’Italia. È da noi che si è tenuto il maggior numero di manifestazione pubbliche a favore dei due bambini inglesi ed è stato proprio il nostro precedente esecutivo, il Governo Gentiloni – non in assoluto il più pro life e pro family della storia – a concedere la cittadinanza italiana ad Alfie, pur senza riuscire a salvare la vita al piccolo.

L’Italia “buona”, contrapposta alla Gran Bretagna “cattiva”? La realtà è ovviamente più complessa e l’aumento del numero di controversie medico-giudiziarie intorno alla sorte di così tanti bambini gravemente malati potrebbe avere l’effetto della goccia che scava la roccia. Il nodo da sciogliere, che fino a poco tempo fa era l’autodeterminazione del paziente a morire, a poco a poco diverrà l’autodeterminazione del paziente (e dei suoi familiari) a vivere. La libertà di non curarsi sta entrando dialetticamente in conflitto con la libertà di curarsi (senza entrare qui nel merito della delicata distinzione tra terapie e alimentazione).

Anche l’argomentazione dei pazienti da sopprimere in quanto troppo onerosi per il sistema sanitario è seriamente messa in crisi dalla volontà delle famiglie di curarli a spese proprie. Quando vediamo strutture sanitarie che “sequestrano” i loro malati (come è avvenuto anche con Vincent Lambert), in certi casi ingaggiando persino la polizia, pur di impedirne il trasferimento, siamo di fronte a un vero e proprio cortocircuito del principio liberista e liberale, che pure, in teoria, sarebbe alla base della cultura eutanasica. È vero che, cedere su tale punto, per questi ospedali costituirebbe un’ammissione dei propri limiti tecnico-sanitari, tuttavia, è evidente che, dietro la deliberata e caparbia volontà di taluni medici nel far morire i loro pazienti, c’è un attacco strategico non solo alla sacralità della vita ma anche alla famiglia.

L’obiettivo sembra essere quello di scoraggiare le giovani coppie a procreare. Vuoi un figlio? Lo fai a tuo rischio e pericolo: se nasce malato o si ammala, te lo sottrarremo e te lo uccideremo senza pietà…

Luca Marcolivio

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