04/06/2018

Fake news sull’aborto: apriamo gli occhi sulla realtà

Anche il dott. Filardo, vice presidente dell’Aigoc (Associazione Italiana Ginecoligi Ostetrici Cattolici Italiani), scrive al Quotidiano Sanità per confutare le fake news  sull’aborto che la propaganda continua a propalare.

Leggendo l’articolo di Maura Cossutta di sabato scorso, Aborto. La legge 194, una legge tradita, sono rimasto stupito per il tono francamente demagogico dello stesso e per il contenuto che offende l’intelligenza dei lettori, che dovrebbero essere sprovveduti o accecati dall’ideologia per non riconoscere l’assurdità di tante affermazioni in esso contenute.

Analizziamole una per una a cominciare dalla riduzione drastica del numero degli aborti volontari, definito come il risultato più straordinario della legge: la tanto sbandierata riduzione numerica del numero degli aborti volontari non è legata alla riduzione del fenomeno abortività volontaria, ma a una sua trasformazione, specialmente nelle donne di età inferiore ai 20 anni che hanno fatto ricorso maggiormente alla pillola del giorno dopo in un primo tempo ed alla pillola dei 5 giorni dopo negli anni successivi. Dall’anno 2010 in poi, da quando il numero totale degli aborti volontari ex legge 194 sono diminuiti di anno in anno, alla riduzione numerica di questi aborti volontari ha contribuito anche la riduzione numerica delle donne in età fertile (da 13.961.645 del 2010 scese ai 12.945.219 del 2016). Se questi numeri aggiungiamo quelli dell’abortività dei cosiddetti contraccettivi maggiori il numero delle vittime dell’aborto volontario assume dimensioni catastrofiche.

La seconda affermazione – la legge 194 ha salvato le donne dall’ aborto clandestino – è un patetico strascico di quanto affermato dai fautori della legalizzazione dell’aborto durante gli anni settanta (centinaia di migliaia di donne morte per aborto clandestino) e tuttora ripetuto in tante occasioni, nonostante già allora negli Annali di Statistiche Sanitarie (ISTAT vol. 1 -15) si potesse leggere che ad esempio nell’anno 1969 le donne di 15-45 anni morte per tutte le cause erano 10.760, di queste 550 morte per malattie della gravidanza e solo 43 per aborto. Non merita commento la seconda parte di questa affermazione perché non mi risulta che alcuna donna che ha abortito clandestinamente sia mai stata giudicata per reato contro l’integrità e la sanità della stirpe.

Continuare a scrivere che oggi l’obiezione di coscienza è il vero grimaldello per sabotare la legge dopo che nelle ultime due relazioni ministeriali è stato ampiamente dimostrato il contrario è pura demagogia, facilmente confutabile dando un rapido sguardo alle tabelle pubblicate nell’ultima relazione ministeriale al Parlamento sull’applicazione della legge 194/1978, di seguito riportate.

aborto_obiezione di coscienza_relazione -ministeriale

Anche nella situazione di maggior carico di lavoro settimanale (9 ivg/sett.) registrata nel Molise, l’obiezione non è un ostacolo né un carico fisico eccessivo per il ginecologo non obiettore, abituato a ben più gravose fatiche nella sua vita professionale (assistere 5-6 o più parti o fare come mi é capitato più di una volta 3-4 tagli cesarei in una notte).
Purtroppo la coscienza di molti medici e del personale sanitario, che hanno fatto obiezione di coscienza non è stata sufficientemente formata ed informata per far loro conoscere quali sono i loro diritti di obiettori di coscienza, che l’art. 9 della legge 194 specificaL’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza,e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.”
Tra le procedure specificamente e necessariamente dirette a determinare l’ivg c’è il rilascio dell’attestato, per cui un medico obiettore deve rifiutarsi di rilasciarlo se non vuole cooperare alla uccisione di una vita umana innocente ed indifesa. La stessa cosa vale per qualunque analisi di laboratorio, ecg od altro esame o visita specificatamente richiesta ad una donna per poter essere sottoposta all’aborto volontario. E lo stesso vale anche per il farmacista in particolare quello ospedaliero nel dispensare i farmaci specificatamente e necessariamente diretti a provocare l’aborto volontario.

Per quanto riguarda gli aborti tardivi c’è in alcuni ginecologi non obiettori il malcostume di non assicurare la loro presenza in reparto per tutta la durata del travaglio di parto abortivo, ma di iniziare l’induzione del travaglio abortivo e poi andare via. A norma di legge l’aborto è definito come la morte e/o l’espulsione del feto, per cui è compito del medico e del personale sanitario non obiettore assistere il travaglio finché non si verifichino questi eventi.

L’assistenza antecedente e conseguente all’intervento era una norma legata al fatto che nei primi anni le donne venivano ricoverate nei reparti di ostetricia, da anni invece ci sono dei servizi di Day Surgey per l’aborto volontario, nei quali dovrebbe lavorare solo personale non obiettore. Negli aborti tardivi c’è ancora il ricovero nei reparti di ostetricia per cui si può verificare il bisogno di assistenza antecedente e conseguente all’intervento, ma non di partecipazione all’induzione del travaglio abortivo e all’assistenza del travaglio abortivo finchè non avviene la morte e/o l’espulsione del bambino, dovere esclusivo del medico non obiettore e del personale ostetrico ed infermieristico non obiettore. In caso di pericolo per la vita della donna qualsiasi medico sa che è suo dovere intervenire in qualsiasi momento per prestare il suo soccorso alla donna.

«Ma la realtà è pesante: solo 390 su 654 strutture dotate di reparti di ostetricia e ginecologia effettuano interruzioni di gravidanza», che questa frase sia stata scritta da un medico mi fa pensare che non abbia mai frequentato un reparto di ostetricia e ginecologia, altrimenti non l’avrebbe scritta perché saprebbe bene che è ben diverso ed è richiesto un maggior numero di punti nascita per poter assistere i 465.551 nati vivi ed i 61.580 aborti spontanei, che non è possibile programmare e prevedere rispetto agli 84.926 aborti volontari, che nel 94,7% erano programmabili ed eseguibili in D.S.

Che l’aborto farmacologico sia somministrato in pochi ospedali è un bene per le donne, perché – come è già stato sperimentato in Italia nel 2014 con le due morti (1 a Torino e 1 a Nocera Inferiore) – il suo profilo di sicurezza è inferiore rispetto al metodo chirurgico, con una mortalità almeno dieci volte maggiore, a parità di epoca gestazionale. Alcuni eventi avversi associati all’impiego dell’aborto medico esordiscono a distanza di tempo dalla procedura, insorgendo subdolamente e progredendo rapidamente verso l’exitus. [...]” (PROMED GALILEO – Aborto farmacologico mediante mifepristone e misoprostol – Italian Journal of Gynaecology & Obstretics , Gennaio-Marzo 2008 – vol. 20 n. 1 pagg. 43-68) e perché dal punto di vista psicologico è più traumatico perché l’espulsione del bambino assieme al materiale ovulare può avvenire in qualsiasi momento a casa, anche al cospetto di altri figli o familiari, o al bagno.

Che informazione ed educazione alla contraccezione non sia la strada per prevenire l’aborto lo hanno sperimentato in tutto il mondo e numerosi sono i lavori che lo dimostrano, stupisce che l’autrice dell’articolo continui ad ignorarlo. Cito solo alcuni articoli. Nella vicina Francia, che fa registrare una diffusione quasi a tappeto della contraccezione (il 91% delle donne in età fertile dichiara di usare contraccettivi), gli Autori dello studio realizzato dallo Ined (Agenzia Nazionale Studi Demografici), che correla l’aborto volontario con l’uso della contraccezione (Magali Mazuy, Laurent Toulemon ed Eloidie Baril) affermano: «Dal 1970 la diffusione di efficaci metodi di contraccezione ha permesso la diminuzione di frequenza di gravidanze non desiderate, ma quando si verificavano il ricorso all’aborto aumentava, fino a quando il numero totale di interruzioni di gravidanza non è più sceso».

Il periodico dell’Alan Guttmacher Institute for Planned Parenthood Federation of America, istituzione statunitense che promuove campagne a favore della contraccezione e dell’aborto, ha riconosciuto che «in sei paesi come Cuba, Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti, Singapore e Repubblica di Corea il numero degli aborti e l’uso della contraccezione sono aumentati in modo simultaneo» (C. Marston, J. Cleland – Relationships between contaception and abortion: a rewiev of the evidence in “International Family Planning Perspectives” Mar 2003, 29 (1), 6-3).
Da altri studi si evince che l’aborto è un naturale prolungamento della contraccezione: su 315 donne nelle quali il metodo contraccettivo ha fallito il 52% ha chiesto l’aborto (V. Rash et al, 2002); su 3516 donne danesi il 51% che usa metodi contraccettivi rifiutano una gravidanza non pianificata e chiedono l’aborto (Rash et al, 2001); la contraccezione non evita il ricorso allo aborto chirurgico (L.T. Strauss et al, 2002).
Anche altri fautori della contraccezione di recente sono stati costretti a riconoscere che la pillola, considerata il più efficace contraccettivo, in effetti ha un’efficacia solo del 91% e che il 24% (circa 15.000) delle 60.952 donne che si sono rivolte per abortire nel 2016 al British Pregnancy Advisory Service (Bpas), che riunisce circa 40 cliniche inglesi e che fornisce informazioni sulla “salute sessuale” e assistenza alle donne che decidono di abortire, usavano contraccettivi ormonali o iud, ritenuti i più efficaci contraccettivi, e che oltre il 51% di queste donne usavano un contraccettivo (Women cannot control fertility through contraception alone, says British Pregnancy Advisory Service The Farmaceutycal Journal/l11 JUL 2017).

Questi studi sono un’ulteriore conferma di quanto Ch. Tietze affermava nel 1989: «Dato che gli aborti e la contraccezione comportano l’obiettivo comune di evitare le nascite non desiderate e nascite che avrebbero avuto luogo in un momento inopportuno, esiste un’alta correlazione tra esperienza abortiva ed esperienza contraccettiva nelle popolazioni nelle quali si ha accesso tanto alla contraccezione come all’aborto, ed in quelle in cui le coppie hanno tentato di regolare il numero di figli e la distanza tra loro. In queste società le donne che hanno utilizzato contraccettivi si sottopongono più probabilmente ad un aborto rispetto a quelle che non li utilizzano. L’aborto da solo è un metodo inefficace di regolazione della fertilità, ma incrementa la sua efficacia nella misura in cui l’estensione dell’uso di metodi contraccettivi gli consente la funzione di misura di sicurezza».

La cosa che più mi rattrista è che nonostante l’evidenza dei fatti si continui a credere che l’aborto volontario è una conquista delle donne, mentre in effetti per loro continua ad essere un vero dramma di cui si rendono conto a distanza di un tempo più o meno lungo dopo averlo fatto per le conseguenze fisiche ed ancor più psicologiche cui inevitabilmente vanno incontro talora assieme ai loro più stretti familiari e della cui causa spesso non si rendono conto perché i consultori familiari tanto solleciti nel rilasciare gli attestati per abortire non si preoccupano minimamente di indagare sulle conseguenze psichiche dell’aborto, di cui esiste un’ampia letteratura mondiale.

Angelo Francesco Filardo

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