12/11/2018

«Ho un embrione femmina da parte, chi mi dà un maschio in cambio?»

scambio_embrioneIl titolo dice già tutto, sembra una trovata giornalistica e invece è precisamente ciò che è successo: «Abbiamo un embrione femminile di grande qualità. Vorreste prendere in considerazione uno scambio?». Questa è stata la proposta rivolta da una donna statunitense al pubblico di Facebook, nella speranza di giungere a comporre il puzzle familiare secondo i desideri dei vari membri (per chi stentasse a crederci pubblichiamo a lato lo screenshot dell’“annuncio”).

La mamma ha detto che sua figlia è l’ultimo embrione rimasto dopo diversi cicli di fecondazione artificiale e, ha spiegato, suo figlio di cinque anni desidera disperatamente un fratello, non una sorella, perché solo con un fratello potrà condividere la stanza o andare allo stadio e tifare per i Boston Red Sox. Pertanto, ammette candidamente la signora, «lo sto facendo per mio figlio». Inoltre, «mio marito è cresciuto con delle sorelle e vuole anche lui un maschio. Questo è il modo in cui vogliamo completare la nostra famiglia». Seguono ulteriori spiegazioni su come un maschietto si accorderebbe perfettamente anche con la divisione delle stanze dell’abitazione, oltre a tutta una serie di vantaggi economici che non sarebbero apportati dalla femminuccia.

La maggior parte delle persone raggiunte dalla notizia ha espresso indignazione di fronte all’iniziativa, e l’appello, pubblicato sulla bacheca di un gruppo di Facebook, è stato perfino rimosso. Ora, è normale che un simile episodio susciti indignazione in persone dotate del minimo senso morale. Non è normale che la susciti in persone che sono favorevoli, in linea di principio, all’aborto o alla fecondazione artificiale. Chi guarda a queste tecniche come a delle conquiste, non può permettersi di criticare l’idea di questa donna. “Ma come”, dirà qualcuno, “con che coraggio barattare il proprio figlio con quello di uno sconosciuto?”. Sicuramente con meno coraggio di quanto occorre per ucciderlo mentre cresce nel proprio grembo.

Eppure, è il caso di notare, da questo punto di vista l’aborto procurato è meno rivoluzionario e, in un certo senso, meno grave della fecondazione artificiale. In effetti con l’aborto si pretende di porre fine a una vita ed è un atto certamente odioso, trattandosi della vita di un innocente. Tuttavia l’atto di togliere la vita a qualcuno è un atto che, nella sua radice (si badi bene: nella sua radice, e cioè astrattamente, e comunque mai in caso di aborto volontario), può ammettere eccezioni: si pensi alla legittima difesa. Diversamente, con la fecondazione artificiale (che implica già di per sé l’eventualità quasi certa dell’aborto) si vuole estendere il proprio potere all’altro capo della linea, alla concezione stessa della vita, ed è questo un potere “prometeico” che ha in sé qualcosa di “divino”, e l’atto che lo esercita non può non concretizzare un delirio di onnipotenza.

Con la fecondazione artificiale i genitori (ma in realtà il medico-demiurgo) non si fanno procreatori, bensì creatori della vita. Chi crea una cosa ne stabilisce anche il fine, ed è normale, a questo punto, che un figlio possa servire a “completare” la famiglia esattamente come la tessera di un mosaico, ed essere trattato, di conseguenza, come merce di scambio per il raggiungimento di questo obiettivo. Se l’essere umano può venire assemblato in laboratorio al pari di uno smartphone, il suo valore, per forza di cose, sarà pressappoco lo stesso.

Vincenzo Gubitosi

Fonte: NY Post

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