01/06/2018

L’aborto, la Chiesa e la cultura della vita

L’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, nel quarantesimo anniversario della legge 194 e all’indomani del referendum sull’aborto in Irlanda, ha pubblicato sull’Osservatorio Van Thuan una lucida e profonda riflessione.

«La pratica dell’aborto è sempre stata condannata dalla Chiesa – ricorda Crepaldi –  e ad essa si oppone anche la retta ragione. “Non uccidere” è un principio che appartiene alla coscienza morale dell’umanità intera, ossia alla legge morale naturale che l’intelligenza umana è in grado di conoscere in modo evidente e per inclinazione, spontaneamente e con l’aiuto di una coscienza retta e formata. Il principio secondo cui la vita è indisponibile all’uomo è a baluardo della violenza e dell’ingiustizia dell’uomo sull’uomo. Se questo principio non viene mantenuto saldo nel momento iniziale della vita, sarà poi impossibile garantirlo nelle altre situazioni della vita sociale e politica». 

Essendo credente – ovviamente – Crepaldi spiega poi che «l’indisponibilità della vita ha il suo ultimo fondamento in Dio Creatore, autore della vita. La legislazione abortista rompe il legame tra creatura e Creatore e, considerando la vita umana a disposizione degli uomini, estromette il riferimento al Creatore, implicito o esplicito che sia, dalla società degli uomini. L’attacco alla vita è sempre anche un attacco a Dio» e la legalizzazione dell’aborto è sempre frutto della secolarizzazione della società.

Egli quindi invita la Chiesa a non «abbassare la guardia contro la tragedia dell’aborto»Ma ribadisce che la questione riguarda ogni essere umano, anche i non credenti: «La difesa del diritto alla vita è il primo dei cosiddetti “principi non negoziabili”,  contenuti nel diritto naturale, obbligante per tutti gli esseri umani, credenti e non, «in quanto espressione dei fini ultimi dell’uomo» e «non può essere assimilato ad altri obblighi morali positivi, come per esempio la lotta alla povertà o l’accoglienza degli immigrati», perché il bene (aiutare i poveri, gli immigrati ecc.) si può fare in molti modi diversi. Mentra l’aborto è un male  «che non si deve mai compiere».

La legge 194 del 1978 era, ed è, una legge profondamente ingiusta e ingannevole, «in quanto dichiarava di voler proteggere la vita, così accogliendo in via strumentale anche l’approvazione sprovveduta di persone contrarie all’aborto, mentre in realtà la metteva in pericolo. L’impegno per l’abolizione della legge 194, pur nella difficoltà contingente del quadro culturale e politico, non può essere tralasciato».

«La diffusione di legislazioni favorevoli all’aborto, al cui numero si è aggiunta ultimamente quella dell’Irlanda, non può trasformare il male in bene».

Siamo grati all’Arcivescovo di Trieste per queste parole chiare e nette.

E rivolgiamo allora anche a lui la nostra umile proposta: è pregiudiziale, per qualsiasi dibattito sulla 194 e sull’aborto, chiarire bene – alla luce della scienza e della verità oggettiva – cosa è l’aborto, “cosa” c’è nel grembo materno, fin dal giorno del concepinmento, e quali sono le più grandi bugie della propaganda radicale che da decenni sono state assorbite dall’opinione pubblica come fossero questioni oggettive.

Proponiamo, quindi, alla CEI di indire in ogni Diocesi un incontro informativo in tal senso: se la Chiesa sostiene il popolo della vita che in questi ultimi tempi sembra essersi risvegliato, la cultura della morte sarà costretta a fare un passo indietro. E se avanza – invece – la cultura della vita, allora una modifica o l’abrogazione della 194 non sarà più un’ipotesi irrealizzabile.

Redazione

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