20/12/2012

Aborto e sviluppo fetale

La medicina moderna permette che molti feti prematuri siano curati con successo quando sopravviene un parto precoce, spontaneo o realizzato per motivi medici.

Attualmente, è possibile che feti che nascono con 24, 23 o perfino con 22 settimane di gravidanza, ricevano un’efficace assistenza medica. Le percentuali di successo variano molto secondo l’età gestazionale e secondo la perizia e gli strumenti tecnici usati dai medici, perché molte e complesse sono le difficoltà con le quali questi bambini iniziano la vita extrauterina.

I progressi della medicina in questo campo hanno sempre più ripercussione nei dibattiti sull’aborto. Di fronte alle normative che permettono aborti tardivi, sorge, allora, la domanda: non è “eccessivo” permettere aborti di 22-24 settimane, quando i feti che hanno raggiunto tale tappa di sviluppo potrebbero, in molti casi, sopravvivere fuori del seno materno?

La domanda rinchiude un importante elemento di buona volontà: difendere il diritto alla vita dei feti che hanno raggiunto un sufficiente stato di sviluppo, che sono “vitali” fuori del seno materno grazie alla tecnica moderna.

Ma nasconde, in molti casi, un errore profondo: pensare che l’aborto sia più grave quando il feto eliminato è più sviluppato, e meno grave quando il feto eliminato è meno sviluppato, quando ha meno settimane di vita.

In realtà, qualunque forma di aborto è sempre un atto sommamente ingiusto. L’avere una maggiore grandezza fisica, certamente, fa che la soppressione della vita del figlio sia più “violenta”, più invasiva, più pericolosa perfino per la stessa madre. Ma il numero di settimane non rende più o meno grave il fatto nella sua drammatica realtà: l’eliminazione di una vita umana, di un figlio, semplicemente perché così lè stato deciso da altri.

Nessuno oserebbe dire che è più grave l’assassinio da un bambino di 4 anni che l’assassinio di un bambino di 2 anni perché il primo è più “vitale” e più sviluppato del secondo.

La stessa cosa si può dire sull’aborto: eliminare un embrione di 5 settimane è ugualmente grave come eliminare un feto di 25 settimane, perché tutti e due sono esseri umani con la stessa dignità. Uno sarà molto più piccolo, l’altro più grande, ma le dimensioni fisiche ed il livello di sviluppo non dovrebbero essere mai motivo per discriminare ai più piccoli, per considerarli meno “umani”, per sopprimerli attraverso l’ingiustizia dell’aborto.

Non c’inganniamo: non “migliora” una legge dell’aborto se con essa rimangono protetti soltanto i figli con più di “X” settimane, mentre i figli con meno di “X” settimane possono essere soppressi negli ospedali. L’unico modo di “migliorare” una legge dell’aborto consiste nella sua soppressione.

Dobbiamo riconoscere, per crescere in umanità, che qualunque aborto è sempre l’uccisione del figlio nel seno materno, e che tale uccisione non dovrebbe essere mai permessa in una società che pretenda di raggiungere un minimo di giustizia e, soprattutto, un minimo di amore verso il più indifeso degli esseri umani: il figlio prima di nascere.

di P. Fernando Pascual, L.C.
Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma

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