28/02/2017

Eutanasia: intervista al Presidente dell’Ordine dei Medici (RM)

Il tema dell’eutanasia è molto dibattuto. Lo vediamo specialmente in questi giorni in cui i mass media parlano della morte di Dj Fabo, avvenuta per suicidio assistito.

Senza dimenticare che il Parlamento sta lavorando per approvare una legge sul tema.

Si tratta ovviamente di un argomento molto delicato sia dal punto di vista personale, sia per quel che attiene il campo bioetico, per via della sua complessità.

Abbiamo intervistato Giuseppe Lavra, presidente dell’Ordine dei Medici di Roma, che ha gentilmente risposto alle nostre domande.

– I Presidi delle facoltà di Medicina di tre grandi Università (La Sapienza, Tor Vergata e il Campus Biomedico) in una recente conferenza stampa alla Camera hanno esternato molte perplessità critiche nei confronti della proposta di legge in oggetto, che offende la dignità professionale del medico. Lei cosa ne pensa?

Condivido le perplessità esternate dai tre Presidi.

-C’è una posizione ufficiale dell’Ordine in materia?

La posizione ufficiale dell’OMCeO di Roma e Provincia su questa materia corrisponde a quanto riportato nel Codice Deontologico del maggio 2014 che è stato approvato e recepito dall’Ordine di Roma e Provincia.

– Dal punto di vista dell’etica professionale si può fare distinzione tra eutanasia attiva, passiva e suicidio assistito?

Non ho la pretesa di esprimermi in nome dell'”etica professionale”. Tuttavia, secondo il mio punto di vista, è artificioso distinguere l’eutanasia in diverse fattispecie e mi permetto di aggiungere che rischia di essere anche fuorviante. L’eutanasia, intesa nel senso di procurare deliberatamente la morte di una persona, a mio avviso, è univoca e non condivisibile. Ben altro è praticare cure non proporzionate, non appropriate, futili, ovvero perseguendo il cosiddetto accanimento terapeutico o anche diagnostico che non è ugualmente condivisibile.

– Il nutrimento e l’idratazione artificiale di un paziente si possono considerare “trattamenti sanitari”? Possono configurare di per sé soli “accanimento terapeutico”? (… e dare il biberon a un neonato?)

La nutrizione al pari dell’apporto idrico e salino, dell’apporto vitaminico e anche dell’ossigenazione dei tessuti, rappresentano momenti fondamentali ed essenziali per la vitalità biologica dell’organismo umano.

Solo nelle singole fattispecie di situazioni cliniche è possibile valutare in quale misura e modalità sia possibile ed opportuno assicurare gli apporti di cui sopra. Per queste ragioni considero poco utile addentrarsi nelle controversie secondo le quali l’idratazione e la nutrizione artificiali debbano, a priori, essere considerate o meno “trattamenti sanitari”. Nutro addirittura qualche dubbio su tale curiosità culturale in quanto mi sembra di scorgere una possibile strumentalità.

– Il 7° comma dell’art. 1 della proposta di legge in oggetto recita: «7. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e in conseguenza di ciò è esente da responsabilità civile o penale«. Ciò non contraddice la valorizzazione della «relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico» della quale si parla al comma 2?

Prevedere che il medico sia “tenuto” a rispettare la volontà espressa dal paziente senza specificare se tale volontà è attuale o pregressa, non solo non mi trova d’accordo, ma mi genera forti perplessità in ordine alla competenza con cui si formulano determinati postulati. Ricordo che il già richiamato Codice Deontologico, quando norma le DAT, fa riferimento al fatto che il medico “tiene conto” della volontà espressa dal paziente e le valuta secondo scienza e coscienza. Certo che il comma 7 è in palese contraddizione con il Comma 2. Quale valida relazione di cura potrebbe instaurarsi tra un medico che passivamente deve eseguire la volontà espressa dal paziente senza poter interagire con lo stesso in senso dialogico ed assolvendo al proprio dovere di informatore, ovviamente non per manipolare (in assoluto non se ne vedrebbe peraltro l’interesse) la volontà del paziente ma per renderlo edotto (e quindi più libero)?

C’è chi sostiene che la professione del medico debba essere preclusa a chi intende sollevare obiezione di coscienza all’aborto; e la proposta in oggetto non considera alcuna possibilità di obiezione di coscienza rispetto all’eutanasia. Cosa ne pensa? Vale ancora il “Giuramento di Ippocrate”? C’è la specializzazione in… “necatologia” in qualche corso universitario?

Sono serenamente, ma anche fermamente, contrario rispetto a chi vorrebbe sopprimere e cancellare per il medico la libertà di coscienza, specie su temi a così elevata valenza etica e morale nei quali è in gioco il principio della tutela della vita. Principio cardine dell’umanità, del medico in particolare, e anche esplicitamente tutelato dal Codice Deontologico. L’uomo non domina né controlla in alcun modo né la vita né la morte, pertanto volerne disporre può rappresentare, a mio avviso, un atto di superbia che non condivido. Io sono convinto che i nostri limiti assoluti di fronte alla morte e alla vita dovrebbero indicarci prudenza estrema, indipendentemente da qualsivoglia credo si professi, specie quando pensiamo al nostro prossimo. Non mi risulta sia stata istituita la “specializzazione” cui Ella fa riferimento. Spero proprio di no. Comunque, a mio avviso, rappresenterebbe un fatto gravemente regressivo nel nostro cammino di civiltà.

– E per concludere (potrebbe sembrare una battuta, ma purtroppo non lo è): si potrà mai costringere un medico a prescrivere una dieta dimagrante a un anoressico?

Visto che Lei mi assicura che non è una battuta, le chiedo di avvisarmi almeno un minuto prima che si possa determinare una tale costrizione affinché io possa fuggire più lontano possibile da un simile contesto sociale. Nel frattempo rimango e continuo ad impegnarmi per professare laicamente i valori e i principi che mi hanno insegnato i miei genitori e che ho arricchito in decenni di professione vissuta a tutt’oggi con molta passione, serietà e impegno.

Francesca Romana Poleggi



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