31/12/2014

L’ uomo , essere libero e non predeterminato

La moderna biologia evolutiva, fondata da Jerome Lejeune, spiega che il corredo genetico non è un programma esecutivo, ma un insieme di strumenti che l’ uomo usa – insieme con altre fonti d’informazione – per costruire la sua vita.

 Proponiamo ai nostri lettori questo articolo pubblicato sul mensile Notizie Pro Vita, che meritava di essere letto e merita di non essere dimenticato.

La neuroetica, una recente disciplina nata nel 2002, vorrebbe leggere l’uomo e la sua condotta in termini esclusivamente neurobiologici, secondo un’architettura anatomica e funzionale del proprio cervello, prodotto dei propri geni e della propria biografia: un “riduzionismo” dell’uomo a una sorta di robot predeterminato. Di conseguenza la dignità dell’uomo sarebbe dipendente dalle sue capacità mentali e non dalle sue libere scelte.

La moderna biologia evolutiva, invece, spiega che il corredo genetico, più che un programma esecutivo, è un insieme di strumenti che l’organismo biologico usa, insieme con altre fonti d’informazione, per costruire la sua vita, quindi l’uomo non è un essere totalmente determinato e dipendente dai geni. Cervello, mente, anima: l’uomo è indiviso nella specificità della natura umana e nella sua assoluta unicità. Quell’unicità irriducibile, difesa dalle parole e dall’operato di Lejeune.

«La genetica moderna si riassume in questo credo elementare: all’inizio è dato un messaggio, questo messaggio è nella vita, questo messaggio è la vita». Sono parole di Jerome Lejeune, il fondatore della genetica clinica, che ha dedicato la sua esistenza a difendere la vita, a cercare, capire e conoscere, con lo scopo di curare e prendersi cura. Riteneva un dovere restare vicino a quelli per i quali la scienza non è ancora riuscita a trovare risposte di guarigione: esseri umani e non errori genetici. Ed è così che nel 1959 riuscì a dimostrare il nesso tra il mongolismo, la sindrome di Down, e un’alterazione nel numero dei cromosomi, un eccesso d’informazione genetica, la cosiddetta trisomia 21. Per la prima volta si collegava un ritardo mentale a un’anomalia cromosomica, aprendo la strada alla genetica clinica, che oggi permette di individuare e curare sindromi ereditarie.

I geni sono simili a musicisti – spiegava che leggono i loro spartiti e gli spartiti sono scritti nel nostro patrimonio: se tutti leggono la partitura alla stessa velocità e seguono il maestro va tutto bene, ma con un musicista in più o uno in meno – come le anomalie cromosomiche – quell’orchestra andrà o troppo veloce o troppo lenta. La ricerca deve scoprire il musicista discorde. Ma aveva anche capito che la sua scoperta, la possibilità di individuare aberrazioni cromosomiche contemporanea a quella della diagnosi prenatale, poteva essere usata contro coloro che egli aveva promesso di proteggere e guarire. Più volte è stato criticato, ostacolato per le prese di posizione pubbliche in favore della vita, per aver contribuito a far sì che la questione dell’aborto non fosse messa a tacere.

Dalla sua ricerca si profila la visione dell’uomo come essere unico e insostituibile che come tale deve essere guardato. Scrive: «L’informazione del DNA, tutte le informazioni che condizioneranno lo sviluppo e la crescita, è già tutta compresa nella prima cellula». Ha sempre strenuamente sostenuto che un uomo è un uomo a qualsiasi stadio della sua crescita, anche embrionale e la madre non lo fa ‘umano’: è umano per sua natura, perché ha ricevuto il patrimonio genetico della nostra specie.

Oggi gli sviluppi della genetica clinica e le conoscenze sul genoma umano (conosciamo gran parte dei geni dell’uomo e l’intera sequenza del DNA) permettono di sapere se una persona sarà portatrice di malattie genetiche aprendo a molte possibilità terapeutiche, ma permette anche di sapere quali saranno le sue inclinazioni caratteristiche profilando di contro il pericolo di un’eugenetica selettiva che snaturerebbe scoperta e utilizzo del DNA. Ma non perdiamo di vista l’uomo.

Marta Buroni

Tratto da NotizieProVita n.6 – Giugno 2013 – Pag.11

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