27/11/2012

L’Inghilterra discute sull’aborto. Bellieni: «Quei prematuri si possono salvare»

Carlo Bellieni, neonatologo, interviene sulla proposta del ministro inglese di anticipare la scadenza massima per abortire: «Un atteggiamento “proattivo” verso il bambino fa aumentare il numero dei nati vivi senza handicap”.

Ha gettato scalpore nell’opinione pubblica britannica la proposta di Maria Miller, ministro alla Cultura inglese, di rivedere la scadenza entro cui è possibile ricorrere all’aborto, riducendola da 24 a 20 settimane dalla data del concepimento. Mentre si prepara una battaglia nel Parlamento del Regno Unito, tempi.it ha voluto discutere dell’argomento con Carlo Bellieni, neonatologo e bioetico.

Fine a quale settimana si può supporre che un feto possa rimanere in vita?
Sicuramente dalle 22 settimane di gravidanza in poi.

Quindi ridurre a 20 settimane di gravidanza il limite massimo per abortire ha una sua coerenza?
Ce l’ha per diverse ragioni. Anzitutto, la legge a riguardo era stata stilata tanti anni fa, quando i bambini non sopravvivevano se nati prematuri alla ventottesima settimana. La scienza è progredita e si riescono a salvare bambini fino a ventidue settimane. Sono dati certi sui quali, insieme ad altri colleghi, abbiamo raccolto una rassegna pubblicata sulla Rivista ufficiale ginecologi ostetrici italiani. Naturalmente, un bambino nato di ventidue settimane può vivere, ma non tutti. Sicuramente, già dalla ventesima settimana di gravidanza, il feto può sentire dolore. Ed è per questo che in vari Stati americani è proibito l’aborto oltre questa data.

Risultati che dipendono molto dalla disposizione del medico.
Certamente. Risultati relativi alla nascita di bambini prematuri nel nord della Svezia indica che, nel caso in cui il medico abbia un atteggiamento “proattivo” verso di loro, vi è un aumento statistico non soltanto dei nati vivi, ma anche di quelli nati senza handicap.

Quelli che lamentano l’accanimento terapeutico verso i nati prematuri fanno un passo più lungo della gamba?
Non si può parlare di accanimento terapeutico perché la letteratura dimostra che, dalle ventidue settimane in poi, essi possono sopravvivere. Punto. Non tutti, ma è possibile. In uno studio pubblicato nel dicembre 2011 su Jama  – Journal of the American Medical Association – si è stimato, su un campione di circa cinquemila bambini, che il 20 per cento di quelli nati alla ventiduesima settimana di gravidanza restavano in vita; mentre di quelli nati a ventitré settimane ne vivevano circa il 30 per cento. Una cifra che non è uguale a zero.

di Daniele Ciacci

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