06/06/2013

Più attenzione per gli animali che per gli uomini?

Al Congresso Usa arriva il “grande tabù”, il dolore del feto

Dicono: le cavie da laboratorio hanno diritto a garanzie in caso di intervento doloroso, è mai possibile che si alzino le spalle davanti alla sofferenza del feto?
Rispondono che non è sicuro che senta qualcosa, e comunque mai prima della ventesima settimana, e forse anzi dalla ventottesima, e sì, non ci sono certezze di assenza di dolore, però comunque probabilità. Ci ha pensato Trent Franks, deputato repubblicano al Congresso degli Stati Uniti, che con il Pain-Capable Unborn Child Protection Act ha proposto di estendere a tutta la nazione una legge per proteggere i bambini non nati ora vigente nel distretto di Columbia.

Una iniziativa politica fragile, visto il largo consenso costituzionale e legislativo che regna ormai attorno al diritto di aborto che vige in America. Ma Franks ha portato per la prima volta nel Parlamento degli Stati Uniti qualcosa di letteralmente inaudito: il dolore del non nato oltre le venti settimane.

In America la sofferenza del feto è la nuova frontiera della guerra sull’aborto.
Le testimonianze al Congresso a favore della proposta Franks, firmata anche dal democratico Daniel Lipinski, sono state a dir poco scioccanti. Fra i primi a parlare Anthony Levatino, il medico che tra il 1981 e il 1985 ha praticato 1.200 aborti, molti oltre la 24esima settimana. “Immaginate di essere un ginecologo pro choice come lo ero io”, ha detto il medico. “La vostra paziente è alla 24esima settimana di gravidanza.
Se riusciste a vedere il bambino, come mostra l’ecografia, lo vedreste grande, dalla testa al sedere escluse le gambe, una volta e mezza la vostra mano”. Il medico ha poi mostrato un forcipe d’acciaio lungo trentatré centimetri: “Serve a prendere e distruggere i tessuti. Il bambino può essere in qualsiasi posizione dentro il ventre materno. Immaginatevi di raggiungerlo con il forcipe e di afferrare tutto quello che potete, una volta che avete preso qualcosa, lo comprimete con la morsa e tirate forte, molto forte”. Poi ha parlato Maureen Condic, professoressa di Neurobiologia e di Anatomia all’Università dello Utah, autrice di tante pubblicazioni scientifiche, ha spiegato che “il primo nucleo del sistema nervoso si forma dopo ventotto giorni dalla fecondazione. Qui il cervello primitivo è già formato”. Il che significa che anche nei primissimi giorni “il cervello c’è e non è un ammasso di cellule insensato”.
Condic ha chiarito che il primo circuito neuronale di risposta al dolore è presente già all’ottava settimana. “E’ universalmente riconosciuto che nei primi tre mesi di gravidanza può già sentire male”. La neurobiologa ha concluso: “Fare male a qualunque creatura umana è una crudeltà. E ignorare il dolore sperimentato da un altro essere umano, per qualsiasi ragione, è una barbarie”.

Trent Franks, promotore della legge, ha mostrato foto dei bambini uccisi in una clinica abortiva. Creature letteralmente massacrate: “Non so quanto questa società e il mondo abbiano perso a causa dell’uccisione di 55 milioni di piccoli bambini americani negli ultimi quarant’anni. Ma credo che se non si ritiene sbagliato l’omicidio di un bambino innocente, allora tutto è permesso e nulla è più sbagliato”.

“Al di là di ogni ragionevole dubbio”. Dalla fine degli anni Ottanta ci sono studi che raccontano il dolore del feto, i recettori cutanei che coprono tutta la superficie corporea dalle venti settimane di gestazione, la produzione di ormoni da stress, la memoria a breve e a lungo termine (una canzone mai ascoltata se non nella pancia e conosciuta a memoria, la preferenza durante lo svezzamento per i sapori che aveva sentito più spesso nell’utero, sono i risultati di uno studio pubblicato nel 2001 sulla rivista Pediatrics).
Al Congresso sono stati portati gli studi di Sunny Anand. Solo nel 1985, quando uscì il primo lavoro di Anand, lo studioso indiano padre di tutte le cure per il dolore del non nato, si è iniziato a parlare pubblicamente di dolore fetale, il “grande tabù”, ha scritto il Daily Mail su una battaglia che ha preso campo anche in Inghilterra. Il 13 febbraio del 1984 decine di medici e accademici, laici e religiosi, scrissero una lettera aperta a Ronald Reagan: “Il non nato risponde agli stimoli, al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Gli studi di Anand, centrali nella legge Franks, hanno dimostrato che “il dolore del feto ben prima del terzo trimestre di gravidanza è una realtà”, mentre per molti anni i pro choice hanno cercato di minimizzare il dolore fetale come un “riflesso”.
Il filosofo Stuart Derbyshire sosteneva nel 1999 sulla rivista Bioethics che “l’esperienza del dolore sorge approssimativamente a dodici mesi di età”, dato che senza “coscienza di sé” non può esserci dolore. E’ per questo che il dolore del feto non dispone ancora di una retorica per descriverlo.
Come ha scritto Luc Boltanski ne “La condition foetale”, “una manipolazione ontologica del feto di tipo ‘costruzionista’ mira a distribuire gli esseri che s’inscrivono nella carne in categorie tanto più lontane l’una dall’altra, a seconda che essi siano destinati a essere distrutti o, al contrario, a essere confermati attraverso la parola”. L’International Association for the Study of Pain così affidò nel giugno 2006 ad Anand il compito di mettere la parola fine alle polemiche.
Adesso il suo lavoro è arrivato al Congresso degli Stati Uniti.
E’ stata proprio l’introduzione di nuove tecnologie a sollevare il tema del dolore fetale, come l’immagine a ultrasuoni, il monitoraggio elettronico del cuore del feto, la fetologia, l’isteroscopia, la chimica dell’immunizzazione radioattiva e una serie di altre incredibili tecnologie che costituiscono insieme la scienza della fetologia. Si spiega che gli esami effettuati sul feto provocano stress e sofferenza nel feto stesso e che durante un’ecografia il feto ha una reazione di arretramento, proprio come qualsiasi bambino, e il suo battito cardiaco aumenta.
Ha confessato il professor Nicholas Fisk: “Per anni la madre mi chiedeva: ‘Il mio bambino sente dolore?’. La tradizionale risposta irriflessiva era: ‘Ovviamente no’”.

Passano gli anni, la medicina neonatale fa passi da gigante e Fisk è costretto a cambiare idea: “Le ricerche di Fisk in laboratorio hanno mostrato che un feto di 18 settimane reagisce a una procedura invasiva, attraverso una strategia che si vede anche negli adulti di protezione degli organi vitali da una minaccia”. Nel 2004 il Congresso americano aveva cassato per pochi voti il disegno di legge Unborn Child Pain Awareness Act presentato da Sam Brownback, che avrebbe costretto i medici a informare la madre del dolore del feto durante un aborto. Da allora in molti stati americani sono state approvate legislazioni che obbligano i medici a informare le donne sulla sofferenza del feto. I pro choice sostengono che queste leggi limitano il diritto all’interruzione di gravidanza.
A chi gli chiese quale senso avesse parlare del dolore fetale, Ronald Reagan rispose: “Ho notato che tutti gli abortisti sono già nati”.

Fonte: Il Foglio

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